di Andrea Piersanti
Soldati italiani nel fango della trincea, lanciati contro il nemico, sotto il fuoco incrociato dei bombardamenti, intenti a leggere le lettere dei loro cari, impegnati a mangiare il rancio sotto una pioggia battente. Sono immagini in bianco e nero, rubate in un momento di verità, e rappresentano il primo autentico shock dell’era moderna dei mass media. Mai il cinema aveva ripreso il dramma della guerra. Mai il pubblico aveva potuto partecipare così da vicino alla follia di quelle sanguinose carneficine.
Eroici furono i soldati destinati al massacro. Eroici furono gli operatori che portarono le macchine da presa nel disastro rumoroso e cruento della linea del fuoco.
È una storia che dove essere ancora raccontata ma che, soprattutto, deve essere ancora capita. Oggi i telegiornali internazionali ci hanno abituato alla freddezza “chirurgica” delle immagini dall’alto (una casa, che sembra disegnata sul televisore, esplode in una nuvola di fumo) e delle immagini della “visione notturna” (quel verde acido micidiale con segni graffiati che sembrano fuochi d’artificio alieni).
Ma allora, cento anni fa, le immagini che provenivano dal fronte della Grande Guerra, mostravano le macchie scure del sangue e il bianco delle ossa divelte dalla carne. Non c’era freddezza o distacco. L’operatore era accanto a chi moriva e lo spettatore quasi ne poteva sentire l’ultimo lamento.
Le platee si riempirono dell’orrore silenzioso della guerra. Un tipo di cinema che era caratterizzato dalla commozione e dalla pietà dell’uomo per l’uomo.
Si parla molto della moda del documentario storico. I programmi realizzati con il materiale in bianco e nero dei nostri archivi vanno in onda in prima serata e sfondano ogni record di ascolto.
L’opera che proponiamo ora ha però un significato in più. Il cinema d’azione contemporaneo ci ha in qualche modo assuefatti alla pornografia della violenza. Sparatorie e incidenti mortali inondano gli schermi delle grandi produzioni cinematografiche di tutto il mondo. Ma il sangue sintetico che corre copioso sullo schermo non svolge una funzione educativa. Anzi. Il pubblico ne reclama altro, come in una sorta di gigantesco colosseo mediatico.
L’orrore senza audio, discreto e infinitamente drammatico, delle immagini dei cinegiornali della Grande Guerra invece colpiscono oggi come allora. Furono uno shock allora, cento anni fa. Saranno un trauma anche per il pubblico smaliziato del Duemila. È questa la nostra scommessa.
Speriamo che lo schiaffo intimo e doloroso di queste immagini possa essere pedagogico. Ci illudiamo? Forse no. Mai come in questo caso, vale il detto: guardare per credere.
Eroici furono i soldati destinati al massacro. Eroici furono gli operatori che portarono le macchine da presa nel disastro rumoroso e cruento della linea del fuoco.
È una storia che dove essere ancora raccontata ma che, soprattutto, deve essere ancora capita. Oggi i telegiornali internazionali ci hanno abituato alla freddezza “chirurgica” delle immagini dall’alto (una casa, che sembra disegnata sul televisore, esplode in una nuvola di fumo) e delle immagini della “visione notturna” (quel verde acido micidiale con segni graffiati che sembrano fuochi d’artificio alieni).
Ma allora, cento anni fa, le immagini che provenivano dal fronte della Grande Guerra, mostravano le macchie scure del sangue e il bianco delle ossa divelte dalla carne. Non c’era freddezza o distacco. L’operatore era accanto a chi moriva e lo spettatore quasi ne poteva sentire l’ultimo lamento.
Le platee si riempirono dell’orrore silenzioso della guerra. Un tipo di cinema che era caratterizzato dalla commozione e dalla pietà dell’uomo per l’uomo.
Si parla molto della moda del documentario storico. I programmi realizzati con il materiale in bianco e nero dei nostri archivi vanno in onda in prima serata e sfondano ogni record di ascolto.
L’opera che proponiamo ora ha però un significato in più. Il cinema d’azione contemporaneo ci ha in qualche modo assuefatti alla pornografia della violenza. Sparatorie e incidenti mortali inondano gli schermi delle grandi produzioni cinematografiche di tutto il mondo. Ma il sangue sintetico che corre copioso sullo schermo non svolge una funzione educativa. Anzi. Il pubblico ne reclama altro, come in una sorta di gigantesco colosseo mediatico.
L’orrore senza audio, discreto e infinitamente drammatico, delle immagini dei cinegiornali della Grande Guerra invece colpiscono oggi come allora. Furono uno shock allora, cento anni fa. Saranno un trauma anche per il pubblico smaliziato del Duemila. È questa la nostra scommessa.
Speriamo che lo schiaffo intimo e doloroso di queste immagini possa essere pedagogico. Ci illudiamo? Forse no. Mai come in questo caso, vale il detto: guardare per credere.
Prefazione a
La Guerra degli Italiani
Piero Melograni racconta la Guerra vista dagli italiani, in un volume di 319 pagine con oltre 440 immagini ed illustrazioni rare ed inedite provenienti dall'Archivio Storico dell'Istituto Luce. Il volume e' accompagntato da ben 4 DVD per un totale di oltre otto ore di filmati, per una panoramica a 360° su uno dei massimi e piu' tragici eventi della storia dell'umanita'.