mercoledì 16 maggio 2007

“Olmi, per fortuna l’ultimo film”



di Andrea Piersanti

“L’unica cosa che c’è di buono è che sarà l’ultimo film di Olmi”. Il giudizio è di Dario Edoardo Viganò, presidente dell’Ente dello Spettacolo e preside della “Redemptor Hominis” alla Lateranense di Roma. “Centochiodi” non è piaciuto alla cultura cattolica. La notizia non è pubblica. È un passaparola sotterraneo. Solo ieri qualcosa è emerso.

Viganò, nel corso di un’intervista su “Gesù e cinema” a Raiutile, è stato esplicito. “Il Gesù raccontato da Olmi è talmente didascalico da essere banale”. In contemporanea, su “Avvenire”, il direttore Dino Boffo, ha risposto ad un lettore scontento del film di Olmi. “In tal senso facciamo totalmente nostre le sue considerazioni girandole, come domande sostanziali, al grande regista”, scrive Boffo. Strana ma bella: una polemica fuori tempo massimo. Il film è uscito già da alcune settimane. Le platee cinematografiche sembrano aver gradito. I critici hanno applaudito, come si conviene, al grande maestro. Ecc. Tutto bene, quindi. Tranne il mugugno dei cattolici che è cresciuto fino ad esplodere pubblicamente.

Proprio in questi giorni il popolo della Chiesa esce vincente dalla prova del “Family Day”. Contro le prefiche del laicismo che ormai non sanno più come gestire, politicamente, il quotidiano eroismo delle famiglie italiane, centinaia di migliaia di persone normali sabato scorso a Roma hanno danzato, cantato e gioito, alla faccia della politica e degli intellettuali. Non è un caso, forse, che proprio in questi giorni venga abbattuta anche la statua di Olmi.

Il grande “maestro” però se l’era cercata. Nella locandina del suo ultimo film campeggia uno slogan che sembra dettato dalla Bonino: “Le religioni non hanno mai salvato il mondo”. Scrive il lettore di “Avvenire”: “Cosa vuol dire che ‘le religioni non hanno mai salvato il mondo, esse possono servire solo a salvare sé stesse’? Nel furore del suo j’accuse contro la modernità, possibile che Olmi non capisca che anche all’inferno Dio è capace di liberare l’uomo? Dio sa scendere nella spazzatura! Lo fa sempre, lo ha sempre fatto”.

Raz Degan, il protagonista del film con un bel visetto accuratamente pseudo-cristologico, recita la battuta più dura del copione scritto da Olmi, quasi una bestemmia: “Dio dovrà rispondere di tutta la sofferenza che c’è nel mondo!”. Appassionata la replica del lettore di “Avvenire”: “Dio avrebbe la colpa di aver voluto un mondo reale? E come avrebbe potuto senza lasciare il dramma della libertà? È dalla libertà che viene il male. Ma Olmi se l’è dimenticato?”. Sembra già di sentire una eco andreottiana: ma in un momento così, non era meglio lavare i panni sporchi in famiglia?

“È polifonica la storia del rapporto fra cattolici e cinema in Italia - scrive Viganò nel suo libro “Attraverso lo schermo” -. Ma l’impressione finale non è quella di una frammentazione o di una dispersione, quanto piuttosto quella di un progetto unitario perseguito con mezzi differenti: la volontà di contribuire, attraverso lo schermo, a una maturazione morale e civile della società italiana e della sua cultura”. Anche con Olmi.


Pubblicato su Il GIornale del 16 maggio 2007

martedì 15 maggio 2007

Il vero coraggio è quello di far famiglia


di Marco Palmisano

Piazza San Giovanni a Roma: oltre un milione di persone a celebrare festosamente, insieme, il primo significativo Family Day d’Italia. Poco distante,in un’altra piazza di Roma, poche migliaia di persone riunite dai radicali e Rosa nel pugno festeggiano, a loro dire, il “coraggio della laicità”.

Partiamo da questi secondi e chiediamoci che cosa significhi questo coraggio della laicità, ricordando bene tutto il male che, in oltre trent’anni di storia nazionale, questa minoranza ha saputo fare al nostro popolo e alla nostra gente. Divorzio legalizzato nei primi anni 70, aborto come pratica incentivata poi, liberalizzazione delle droghe negli anni ‘80 e ‘90, per arrivare, infine, in questi ultimi anni, alla richiesta di rendere libera l’eutanasia, sotto l’ipocrita nome di dolce morte. Ecco fatto, questo è il curriculum dei cosiddetti campioni della laicità: veramente una meraviglia di umanità e un tripudio di vita!

In realtà, questi signori sono da compatire, perché di fronte alla fatica coniugale, a quella della nascita e dell’accettazione di un bambino non desiderato e, buon ultimo, di fronte al limite del dolore e della morte essi preferiscono tagliar corto e, per abolire queste prove dolorose, preferiscono abolire il soggetto stesso che le compie, cioè l’uomo e la donna, ovvero l’esperienza umana iniziata in ciascuno di noi. Alla faccia della laicità!

Di fronte a questa impostazione culturale storicamente comprovata in tutta la sua gravità, da secoli, si erge la voce della ragione e della coscienza di ogni uomo e donna di buona volontà. I dolori e le fatiche, dice la Chiesa, fanno parte della nostra vita, ed è proprio in esse che noi sperimentiamo di essere comunque amati. Questa è il motivo che permette ad un uomo e ad una donna che si vogliono bene di far famiglia e di mantenerla unita per tutta la vita, di fronte a Dio e a gli uomini; questa è la ragione per cui accettiamo di amare sempre i nostri figli e soprattutto di farli e, infine, questa è anche la ragione per la quale quel giorno, quando il Mistero vorrà, saremo pronti ad affrontare, sereni, l’ultimo viaggio verso la casa del Padre. Questa è la vita.

Di questa vita, di questa ragione, di questa fede cristiana e perciò di questa cultura, a Roma, sono stati testimoni il milione di persone protagoniste del Family Day. Presenti loro a nome di tutti e per questo li ringraziamo. Presenti e consapevoli di quello che, nelle stesse ore, il Papa, dal Brasile diceva al mondo: l’attacco alla famiglia disgrega nazioni e società in nome del relativismo e del laicismo. Per questo, oggi, fare famiglia, difenderla e in essa fare figli, amarli e saperli educare, rappresenta il compito storico in assoluto più meritorio di qualsivoglia altra battaglia politica.

In conclusione una nota di colore che la dice lunga. A Roma, in piazza San Giovanni erano in tantissimi, allegri e festanti, da tutta Italia, con musiche e canti popolari della tradizione dialettale e religiosa ma, soprattutto, uniti e allietati dalla presenza gioiosa di migliaia di bambini di ogni età.
Sempre a Roma, nell’altra piazza, erano pochi, vocianti più che festanti, molto drogati, con faccia triste, molto omosessuali, non è una una colpa ma, inevitabilmente, con quasi nessun bambino. Decidete voi dove stia di casa la vita e il nostro futuro, laicamente e con coraggio.


Marco Palmisano Presidente Club Santa Chiara mpalmi@gmail.com
pubblicato su Il Domenicale il 19 maggio 2007

I giovani e il mondo dei media

di Deborah Bergamini

Dove sta andando il mondo dei media? E quali sono i nuovi mezzi di informazione e di intrattenimento che prevarranno nell’imminente futuro tra le generazioni più giovani?

Su questa scommessa si stanno muovendo le multinazionali del settore, dalle società telefoniche a quelle televisive, per non parlare dei colossi di Internet, fino ad arrivare alle aziende legate al mondo della pubblicità. E insieme a loro si muove una massa sconfinata di denaro, tanto ingente quanto incerta nella direzione da prendere. Una cosa però è sicura: le fortune del mondo dei media si giocheranno solo a livello globale, le barriere culturali e geografiche si infrangeranno e l’individuo, nell’approvvigionarsi di informazioni e di intrattenimento attraverso i mezzi digitali, sarà sempre di più un individuo.

Le incertezze nel prevedere l’evoluzione del mondo della comunicazione, e il rischio di incamminarsi in direzioni sbagliate, sono lo scotto che le grandi aziende si trovano a pagare dopo anni in cui gli investimenti nel settore dei media sono stati focalizzati sulle nuove tecnologie, piuttosto che sui contenuti da veicolare. L’enorme velocità dei progressi tecnici ha legittimato una “corsa alle piattaforme” che ha messo in secondo piano l’importanza e il valore delle cose da comunicare. O che forse ne ha coperto la mancanza. Per un po’ si è riusciti ad applicare le vecchie logiche “analogiche” al nascente mondo digitale. Poi, mano a mano che la dimestichezza con i mezzi digitali aumentava e gli utenti scoprivano di avere esigenze del tutto nuove e più personali, si è compreso che quelle esigenze avrebbero dovuto ottenere risposte adeguate. E’ partita così la corsa ai contenuti. Che però continuano a tardare. I vecchi depositari della comunicazione analogica si sono scoperti incapaci di pensare e creare in modo innovativo; i custodi del progresso tecnologico hanno dovuto ammettere che una cosa è sviluppare le nuove piattaforme e un’altra è sperimentare nuove idee e renderle attrattive ad un pubblico sempre più sofisticato ed esigente.

Il risultato è stato che il pubblico stesso si è sostituito ai fornitori di contenuti: è diventato esso stesso un creatore. Sono nati i fenomeni legati al mondo dei blog e subito dopo le grandi esperienze globali dei siti internet alimentati con video e creazioni spericolate da parte degli stessi utenti. Da MySpace a Youtube, il mondo del web è diventato un caleidoscopio fatto di user generated content. Ne hanno beneficiato immediatamente i grandi motori di ricerca come Google, presto trasformati in sacerdoti dell’imperdibile su Internet. Sono loro che determinano i criteri secondo i quali l’enorme massa di navigatori si muove da un sito all’altro. E poiché si tratta di una massa instancabile e imprevedibile, sempre pronta ad assorbire nuove tendenze, il ruolo di questi motori di ricerca diventa davvero paragonabile a quello che un tempo avevano i sacerdoti.

Con il pubblico che svolge dunque il duplice ruolo di creatore e fruitore dei contenuti digitali, lo scenario si è rivoluzionato, e il modo di vivere i vari media anche. Si è determinata una frammentazione fortissima delle fonti a cui approvvigionarsi per le esigenze di informarsi e intrattenersi. Ne è conseguita una frammentazione degli utenti e dei pubblici. La rilevanza culturale assoluta dei grandi gruppi, delle televisioni e radio pubbliche, dei giornali, ha lasciato spazio, forse per sempre, all’universo segmentato dei bloggisti, alle community, alle tribù digitali più o meno numerose, che hanno imparato a selezionare per conto loro i riferimenti di realtà a cui appellarsi e i criteri di analisi e di valore con cui misurarli. Padrone dei contenuti, inevitabilmente, il pubblico, quello più giovane peraltro, sta diventando anche padrone delle proprie autarchiche regole di analisi critica, di comportamento, di estetica. E con esse cerca di colmare il vuoto di idee e di spunti formativi determinato in larga parte dal declino inesorabile dei valori che per decenni hanno tenuto insieme il tessuto sociale.

In questa grandissima agitazione sociale, in questo relativismo, finisce per trionfare il narcisismo più spinto, dal momento che più i valori sociali decadono e vengono messi in discussione in assenza di nuovi e alternativi insegnamenti da cui trarre frutto, e più si afferma il solipsismo: io mi ergo a mio valore assoluto e tutt’al più faccio riferimento alle opinioni dei miei amici o della mia piccola tribù. E’ questo che sta accadendo nel mondo dei media: io mi faccio creatore di un messaggio che voglio sia visto da qualcuno, anche da una sola altra persona, per avere la prova che esisto. In quello scambievole voyeurismo io mi esalto.

E’ la impetuosa anarchia di Internet, e le grandi aziende stanno dedicando una fetta sempre più grande dei loro budget pubblicitari a questa anarchia, perché dove c’è il narcisismo e il bisogno di conferme c’è anche lo spazio per creare le tendenze e le incentivazioni a consumare. Resta in piedi, in tutto questo, l’assenza di valori assoluti che guidino le persone, soprattutto le più giovani, verso un’autorealizzazione autentica ed ordinata.

Presto il sistema legale interverrà a soffocare anche l’anomalia libertaria di Internet. Nell’attesa, è lì che si muovono i grandi attori della finanza e dell’industria in cerca di nuovi introiti E’lì che nascono e muoiono grandi fortune. Ed è lì che transitano disordinatamente e creativamente, senza pace, decine di milioni di individui in cerca di un sollievo esistenziale che non riescono a definire.

Pubblicato su CH di dicembre 2006

Sergio Trasatti 1939 1993

di Andrea Piersanti
Sergio Trasatti era stato anche sulla Collina delle Croci in Lituania, durante il suo ultimo viaggio al seguito di Giovanni Paolo II. Un luogo che sembra una metafora della sua vita. Rasa al suolo più di una volta, la collina delle Croci è sempre stata ricostruita. Nonostante i controlli polizieschi del governo comunista che proibiva il culto religioso, i credenti della Lituania hanno riempito la collina di centinaia di migliaia di croci. Ogni volta che erano abbattute o bruciate, le croci ricomparivano subito, da un giorno all'altro. Venivano piantate di notte nel terreno brullo della collina, durante silenziose processioni religiose o dopo una santa messa celebrata sottovoce per non farsi scoprire dalle guardie. È un monumento umile, ma immenso, della forza della Fede.

Sergio Trasatti era così. Discreto ma anche determinato. Come i cocciuti cittadini della Lituania che hanno riempito di croci la loro collina, nonostante i divieti e le persecuzioni, così Trasatti ha riempito di sacrifici e di miracoli della Fede la sua vita di uomo e di professionista della comunicazione. Nonostante le difficoltà. Nonostante le incomprensioni di cui pure fu vittima.
“Alcune persone sono come le miniere – ricorda il Cardinale Angelo Comastri -: hanno spazi insospettabili e racchiudono tesori immensi nel silenzio di un geloso nascondimento. Così era Sergio Trasatti: un uomo esposto e nascosto; un uomo noto a tutti eppure riservato in tanti aspetti della sua poliedrica personalità”.

Sergio Trasatti fu caporedattore dell'Osservatore Romano. Animò e reinventò la pagina degli spettacoli del quotidiano della Santa Sede con recensioni letterarie, teatrali e cinematografiche. Attento da sempre ai fenomeni della comunicazione, aveva capito presto che l'intrattenimento forgia le coscienze più di mille telegiornali. Da maestro del giornalismo si dedicò quindi alla critica e allo studio dello spettacolo e di tutte le forme di intrattenimento. All'inizio degli anni Ottanta, le gerarchie della Conferenza Episcopale Italiana, d'intesa con la Segreteria di Stato dalla quale comunque Trasatti dipendeva, gli chiesero di prendere in mano le redini proprio dell'Ente dello Spettacolo. Si trattava di un'antica e combattiva associazione che negli anni si era distinta per una presenza non banale nel mondo del cinema e dell'intrattenimento. Alla fine degli anni Settanta, però, a seguito di un grave momento di crisi del cinema italiano, l'Ente dello Spettacolo sembrava aver perduto fisionomia. Dal dopoguerra fino agli inizi degli anni Settanta, l'associazione aveva fatto parte della Segreteria Generale della Azione Cattolica. Nei suoi saloni, al numero uno di Via della Conciliazione, erano passati tutti i grandi maestri del cinema italiano e internazionale. Poi, l'organismo era stato trasferito sotto il controllo della neonata assemblea dei vescovi italiani. La sede fu spostata sull'Aurelia, ad un passo dagli uffici della Conferenza Episcopale Italiana e a pochi metri, quasi fosse un destino già scritto, dall'abitazione di Trasatti.
Nel 1982 Trasatti entrò da Presidente neoeletto negli uffici dell'Ente dello Spettacolo. Trovò uno sparuto gruppo di impiegati (da contare sulle dita di una mano) e pochissimi soldi. Il patto con la Cei era chiaro. Trasatti doveva riuscire a trovare una giustificazione all'esistenza di questa associazione. L'alternativa sarebbe stata la fine dell'Ente dello Spettacolo, nato nel 1945. Trasatti sorrise e si rimboccò le maniche.

“Ciò che particolarmente si notava nella sua personalità era l’entusiasmo – spiega il Cardinale Camillo Ruini -. Però non era un entusiasmo fine a se stesso, ma pieno di idee e tenace nel realizzarle. Sotto il suo impulso, l’Ente dello Spettacolo subì notevoli trasformazioni. Diede vita a rassegne, convegni, premi letterari e giornalistici. Promosse anche l’istituzione di un’Agenzia di stampa per l’informazione sullo spettacolo, con scadenza settimanale, e di una relativa Banca Dati permanente, collegate anche con il servizio nazionale di Videotel. Riuscì a valorizzare la “Rivista del Cinematografo”, già esistente, sia facendone sempre meglio un punto di ritrovo per tutti gli autori e critici dello spettacolo, sia portandone la distribuzione anche nelle edicole e incrementandone gli abbonamenti. Non voglio tacere nemmeno l’attività editoriale, con la creazione della collana di libri “Immagini allo specchio”. Come Segretario della Cei, volentieri facevo visita alla sede dell’Ente una o due volte all’anno e sempre ho ricevuto la buona impressione di un’attività che si svolgeva con fervore e sincero disinteresse personale. Sergio Trasatti conosceva bene i mass media, le loro potenzialità, il loro influsso, e guardava lontano, cercando tenacemente di piegarli al servizio della buona causa, dell’educazione e dell’annuncio evangelico”.Trasatti si divideva fra il lavoro all'Osservatore Romano, l'Ente dello Spettacolo e i suoi libri (un cantiere letterario sempre pieno di nuovi progetti). Nel frattempo trovava il tempo anche per collaborare ad alcune pubblicazioni scientifiche, organizzare e partecipare a convegni e, soprattutto, continuare a seguire Papa Giovanni Paolo II in giro per tutto il mondo. Aveva la testa piena di idee. Era innamorato della sua famiglia: la moglie Sisi, insegnante di musica, e la figlia Sabrina, aspirante architetto. Nutriva un'ammirazione incondizionata per il Papa che la sorte gli aveva dato la possibilità di seguire così da vicino.

“Lavorava sodo Trasatti – racconta Gianfranco Grieco dell’Osservatore Romano -. Ricordo un particolare. Nel “pre – viaggio” del Papa nelle Filippine – Guam – Giappone si faceva a turno alla sera, prima di andare a dormire, nell’uso dell’unica macchina da scrivere portata con noi. Quando siamo ritornati a Fiumicino, appena scesi dall’aereo, abbiamo consegnato all’autista che ci era venuto a prelevare, tutti gli articoli già scritti per il Tabloid”.
Furono dedicati proprio al Papa polacco molti dei libri di Trasatti. Anche nel 1981 quando, quasi di getto, scrisse "Viaggio nella sofferenza" sull'attentato compiuto da Ali Agca a Piazza San Pietro, un'opera che fu tradotta in tutto il mondo.

“Abbiamo percorso insieme quasi venti anni, nella buona e nella cattiva sorte – scrisse Mons. Virgilio Levi, che era stato Vicedirettore dell’Osservatore Romano -. Capire Trasatti non era facile. Aveva la pazienza di un asino, ma anche le impuntature di un mulo. E, per chi non aveva letto bene il Vecchio Testamento, le due cose apparivano contraddittorie. Aveva un aspetto bonario, un tratto conciliante, un’arrendevolezza quasi inspiegabile, poi all’improvviso diventava duro, quasi intollerante. Non avevamo ancora capito che aveva dentro di sé un fuoco che non lo abbandonava mai. Sergio aveva lo sguardo lungo. Mi dicono che fu tra i primi a Roma a dotarsi di un telefax. “A che serve?” gli dicevano. E lui: “Aspettate e vedrete”. Dal telefax alla banca dati, fu in tutto un pioniere. Ma l’hard o il soft, di cui come pochi intravedeva il determinante futuro, non erano che i mezzi per lanciare un messaggio, quello cristiano, nella sua genuinità. Si deve assolutamente ritenere straordinario il suo servizio alla Fede nel mondo dei media. Tutti sanno come in questo campo la rassegnazione sia dominante (Che fare? Il mezzo è più forte di noi!). Trasatti non l’ha mai pensata così. Vedeva in questo campo un terreno da evangelizzare senza titubanze. Il suo fuoco interiore gli aveva insegnato anche l’insolita pazienza dei veri realizzatori: saper attendere senza mai demordere”.

Trasatti scrisse molto anche di cinema. A cominciare da Rossellini, che aveva avuto la possibilità di conoscere personalmente. “Non è vero che il neorealismo fu osteggiato dalla cultura cattolica italiana”, ripeteva Trasatti fino a sgolarsi. Sorprendentemente ebbe un significativo riconoscimento anche dal mondo politico più lontano dai suoi ideali. Dopo la sua morte, la sua biografia del grande regista svedese Ingmar Bergman (Castoro cinema) fu distribuita in edicola dal quotidiano "L'Unità".

Il laico Fernaldo Di Giammatteo, direttore della collana del Castoro, rimase impressionato dall’incontro con Trasatti. “Lavorare con lui è stato bello e difficilissimo – spiegò allora Di Giammatteo agli amici -. Il mio ruolo di direttore era stato annullato dalla sua professionalità. Quando mi mandò le prime bozze della biografia di Bergman, io iniziai a leggere con la penna rossa in mano, per tagliare le lungaggini e correggere gli errori. Alla fine della lettura i fogli erano ancora immacolati e la penna era rimasta inutilizzata. La sua era una scrittura pulita ed essenziale, difficile da tagliare (quando i problemi di spazio lo imponevano) perché ti sembrava di deturpare un lavoro praticamente perfetto”.

Il suo ultimo libro, che venne presentato al pubblico dopo la sua morte, fu "La Croce e la stella", pubblicato da Mondadori nel 1993. Trasatti era stato il primo a ricostruire, dall'interno del Vaticano, la storia diplomatica segreta dei rapporti e degli scontri tra i Papi (da Benedetto XV a Giovanni Paolo II) e i capi del Cremlino e i loro vassalli dell'Est. Uno scontro, quello fra Roma e Mosca, che si era concluso con la sconfitta clamorosa dell'ideologia comunista.

Uno scontro che aveva affascinato la coscienza di cattolico di Trasatti. Nel 1989, come regalo di Natale ad amici e conoscenti, spedì un disco con alcune esecuzioni del violoncellista Mstislav Rostropovic. Aveva voluto personalizzare la copertina del disco e aveva fatto impaginare una foto comprata dalle agenzie americane dove si vedeva lo stesso Rostropovic intento a suonare davanti alle rovine del Muro di Berlino. Una foto scattata proprio nel 1989, durante il concerto tenuto dal musicista per celebrare la morte del comunismo. Un'esibizione divenuta leggendaria.
“Quel che mi è più rimasto nella memoria di Sergio Trasatti – racconta Maurizio Costanzo – è la passione con la quale svolgeva il suo lavoro. Non un entusiasmo rivolto e in qualche modo limitato alle cose di maggior prestigio, bensì al giorno dopo giorno, agli interventi o ai solleciti, alle beghe organizzative. In questo era totalmente un operatore nel settore della comunicazione. La sua passione era al servizio di alcuni valori forti ma il suo rispetto per le idee divergenti era assoluto. Ho un cruccio, nel ricordarne la scomparsa: non aver fatto in tempo ad invitarlo ad una puntata del mio programma televisivo per presentare l’ultimo libro che aveva scritto. Mi dispiace: so che gli avrebbe fatto piacere, come lo avrebbe fatto a me. La vita è fatta anche, purtroppo, di appuntamenti mancati”.

Gli amici lo definivano un "vulcano di idee". Trasatti ti chiamava all'improvviso per dirti: "Senti cosa ho pensato". Alla fine ti guardava, con gli occhi che brillavano, e ti domandava: "Bello, no?".
Io l'ho conosciuto nel 1984. Mi mise alla prova. Mi diede una possibilità. Con affetto e anche con severità. Entrai all'Ente dello Spettacolo come aiuto ufficio stampa. Ero un giovanotto ambizioso e ignorante. Avevo solo due vantaggi: l'età e la guida di Trasatti. Adesso, a distanza di tanto tempo, mi è rimasto solo il suo insegnamento che ancora oggi mi aiuta e mi suggerisce le soluzioni più adeguate.

L'avventura di Trasatti all'Ente dello Spettacolo fu entusiasmante. Nel giro di poco tempo l'associazione diede lavoro ad una ventina di persone e ad un numero imprecisato e sempre variabile di collaboratori esterni. Furono anni febbrili e interessanti. L'Ente dello Spettacolo brillava per la sua diversità. Mentre il paese inconsapevolmente stava infilando la testa nel sacco buio di Tangentopoli e in giro si respirava un'aria pesante, negli uffici di Via Palombini il gruppo di lavoro guidato da Trasatti lavorava con un sorriso sulle labbra. Una specie di oasi, nella burrasca generale.

Trasatti inventò quattro manifestazioni che divennero subito oggetto di programmazione televisiva su Raiuno. Erano il "Premio La Navicella" (per i professionisti dello spettacolo distintisi per una particolare attenzione ai valori umani e spirituali), il "Premio Colonna Sonora" (il primo riconoscimento del genere in Italia), il "Premio Diego Fabbri" (ancora oggi l'unico premio per libri di cinema, televisione, teatro e comunicazione) e il "Premio della Critica Radiotelevisiva" (fondato dal critico tv Mino Doletti, che con Trasatti crebbe fino a diventare un momento annuale di riflessione sulla qualità più autentica della programmazione televisiva e radiofonica). Furono manifestazioni che fecero il giro del paese e che raccolsero grandi rassegne di ritagli stampa. Furono anche momenti di relazioni non occasionali con molti protagonisti dello spettacolo e della comunicazione.

Trasatti era membro della stampa parlamentare e in quegli anni, come cattolico, fu un punto di riferimento prezioso per i protagonisti della politica, della cultura e della comunicazione. Un anno dopo la sua morte, un convegno che doveva essere presieduto da Trasatti, fu coordinato da Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato. Un segno di rispetto postumo e una dimostrazione della considerazione e della stima che era riuscito a raccogliere nella sua vita.
Con non poche difficoltà e attirandosi gli strali di alcuni avversari, Trasatti fondò anche una scuola di giornalismo, intitolata ad un grande amico scomparso, Dante Alimenti, il primo vero vaticanista del TG1 della Rai.

“Con la sua scuola di giornalismo – ricorda Vittorio Roidi -, che organizzava e guidava con notevoli sacrifici personali, Sergio ha dato un esempio di dedizione ai ragazzi e, insieme, alla professione. Nella nostra società si fa un gran parlare delle giovani generazioni, ma non sono molti coloro che per esse poi lavorano in concreto e senza nulla chiedere in cambio. Trasatti ci si è dedicato spontaneamente. Ha fatto nascere in tanti ragazzi la passione per il mondo delle notizie e, contemporaneamente, ha messo il dito sulla sua delicatezza: l’esigenza dell’etica, la necessità di avere informatori rigorosi, l’amore per un giornalismo che fosse anzitutto ricerca della verità”.

I suoi ragazzi, i suoi primi alunni, sono oggi ben collocati nel giornalismo italiano e internazionale e, molto probabilmente, non hanno scordato quelle lezioni e il suo attaccamento alla verità della vita. “Ricordo – dice Pier Ferdinando Casini – l’impegno costante e appassionato per la diffusione della cultura e per la difesa dei suoi valori profondi in un momento in cui si voleva far credere che la cultura fosse appannaggio esclusivo dell’intellighenzia di sinistra; seppe farlo senza esibizionismo inutile, ma sempre con grande Fede, con coerenza e sostanza. Trasatti aveva capito meglio di altri che i mezzi di comunicazione, come giornali, radio, televisione e cinema, se usati in maniera corretta, sono strumenti importantissimi per la crescita morale e sociale di un paese. Forte di questa convinzione, ha dedicato grandi energie alla formazione di giornalisti capaci di svolgere il loro lavoro senza condizionamenti e senza preconcetti, in piena libertà. A lui, in momenti di grave crisi occupazionale, molti giovani devono oltre al prezioso insegnamento anche un aiuto concreto e generoso”.

Gli anni passati all'Ente dello Spettacolo furono anche quelli delle clamorose proteste contro gli eccessi della televisione e della comunicazione in genere. Trasatti era come un moderno crociato che partiva lancia in resta contro comici e giornalisti che dimostravano poco rispetto per il pubblico e, soprattutto, per il mistero della Fede.
“Migliaia di interventi critici, di servizi d’attualità e di costume, di note morali: è la testimonianza di una grande ricchezza umana, culturale e civile – dice Sergio Zavoli -. Trasatti sapeva agire da sé e con altri, immergendosi nella sua creatività e suscitando quella altrui; aveva molto vivo il senso del partecipare, dell’associarsi, del condividere. Fu attento al mondo dello spettacolo, in specie televisivo, cui ha lasciato un’impronta non cancellabile, soprattutto di valore etico; senza essere, però, quel che si dice un moralista, né un pedagogo, men che meno un bigotto; era uno spirito laico, nutrito sì dalla Fede, ma anche dalla sua cultura e dal suo temperamento”.

Trasatti amava la vita ed il sorriso. Il suo ottimismo razionale lo portava ad interessarsi del futuro in tutte le sue forme. Era un entusiasta sostenitore del progresso tecnologico. Quando nacque la paytv in Italia, fu in prima fila per difenderla e organizzò addirittura un convegno internazionale per dimostrare la bontà dell'iniziativa. Fu fra i primi ad utilizzare i personal computer e lanciò un'iniziativa spettacolare e, in qualche modo, storica: la prima banca dati elettronica del cinema mondiale. Pochi mesi prima di morire aveva già cominciato a studiare il fenomeno di Internet che in Italia sarebbe arrivato solo due anni più tardi.

Un infarto lo uccise nel tardo pomeriggio del 16 dicembre del 1993. Era stato ad un incontro con gli amati studenti della sua scuola di giornalismo. Era tornato sotto casa per prendere la moglie e andare insieme con lei ad una prima al teatro dell'Opera, la sua grande passione. Dopo aver citofonato, si era seduto di nuovo in macchina. Così lo prese l'infarto, al posto di guida, dove era sempre stato. Si accasciò sul volante e il clacson cominciò ad ululare.

Il suo funerale fu celebrato dal Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, l'Arcivescovo americano John P. Foley. Durante la messa tanti avevano gli occhi umidi, alcuni singhiozzavano apertamente. Rimane nelle orecchie di chi lo ha conosciuto quel clacson che suona, che suona e che sembra non dover smettere mai, nel pomeriggio caotico e distratto di una grande città.
Pubblicato su I quaderni di Desk n.10

domenica 13 maggio 2007

Ricomincio con te. Dopo il "Family Day"


di Andrea Piersanti
Provate a confrontare il dibattito politico sulla famiglia alla vita di Edith Piaf, così come è raccontata nel film "La vie en rose" di Olivier Dahan con Marion Cotillard (in questi giorni nelle sale). L'ultima scena sembra l'unico commento possibile alla festa di San Giovanni e alla mestizia della manifestazione "laica" di Piazza Navona. "Niente di niente - canta con forza il piccolo passerotto francese Edith -. Non rimpiango niente. Perchè la mia vita, perché le mie gioie. Oggi, questo ricomincia con te".
Il disco della Piaf dovrebbe essere imposto per legge a tutti i politici. Le centinaia di migliaia di cattolici che si sono adunati nella piazza di San Giovanni a Roma non hanno dubbi. La manifestazione del "Family Day" non era contro nessuno. Era per la famiglia. Tutto qui. Lo ha ricordato anche il parroco intervistato da Michele Santoro in "Annozero". "Noi non siamo contro nessuno. A tutti auguriamo un gran bene", aveva detto. Ma i timori della vigilia erano tanti. Lo stesso Mons. Maggiolini, proprio su queste pagine, aveva scritto: "La manifestazione è rischiosa anche per le reazioni che potrebbe scatenare".
Edith Piaf ha vissuto una vita magnifica e straziante. Cresciuta in mezzo a prostitute e delinquenti, perse il suo unico figlio per una meningite fulminante e si innamorò veramente una sola volta ma di un uomo sposato. Si diede alla droga e ad ogni possibile abuso alcolico mentre tutto il mondo piangeva alle sue canzoni. Piegata dai danni al fegato, stava per fermarsi. Ma ascoltò ancora una canzone che le veniva proposta. Dopo tre mesi era all'Olympia di Parigi. Quattro mesi di repliche, le mani piegate dall'artrite, pochi capelli in testa. Ma una voce come nessuna. Muore tre anni dopo, a soli 48 anni. La sua ultima canzone è l'unico commento possibile al canaio che politici e politicanti stanno armando intorno alle leggi sulla famiglia. Nella sua vita disordinata la Piaf non ha mai dimenticato di rivolgere le sue preghiere quotidiane a Santa Teresa di Lisieux. Alla fine, con la croce al collo che non ha mai abbandonato, ha cantato "Ricomincio da te". Un "tu", un prossimo che può essere interpretato in un solo modo, alla luce della nostra natura di figli dello stesso Padre.
Il disordine culturale che la classe politica ha imposto al nostro paese negli ultimi anni oggi può essere spazzato via. Lo hanno dimostrato a San Giovanni centinaia di migliaia di italiani. "Niente di niente. Non rimpiango niente. Perchè la mia vita, perché le mie gioie. Oggi, questo ricomincia con te". Le divisioni fittizie che in molti hanno provato a creare all'interno dello stesso mondo cattolico, non reggono all'urto della fede. Quella fede semplice e umile della gente che non ha lezioni da dare a nessuno. Che non odia nessuno. Che, però, non dimentica ogni giorno di volgere lo sguardo e una preghiera al cielo, che non dimentica il mistero e la speranza della Croce. I cattolici sono così, come la Piaf. Esili, indeboliti, provati dall'eroismo quotidiano di una vita normale, un eroismo a volte tragico e straziante, ma con una voce che non si può non ascoltare.
Pubblicato su Il Giornale il 16 maggio 2007

sabato 12 maggio 2007

Atto d'offerta all'Amore misericordioso di Dio. J. M. J. T.

Offerta di me stessa come vittima d'olocausto all'Amore misericordioso del Buon Dio.Mio Dio! Trinità beata, desidero amarti e farti amare, lavorare per la glorificazione della santa Chiesa, salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelle che sono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la vostra volontà e arrivare al grado di gloria che m'avete preparato nel tuo regno. In una parola, desidero essere santa, ma sento la mia impotenza e ti domando, o mio Dio, di essere tu stesso la mia santità. Poiché mi avete amata fino a darmi il tuo unico Figlio perché fosse il mio salvatore e il mio sposo, i tesori dei suoi meriti appartengono a me ed io ve li offro con gioia, supplicandoti di non guardare a me se non attraverso il volto di Gesù e nel suo cuore bruciante d'amore. Ti offro inoltre tutti i meriti dei Santi (che sono in cielo e sulla terra), i loro atti d'amore e quelli dei santi Angeli; ti offro infine, o beata Trinità, l'amore e i meriti della santa Vergine, mia madre diletta. A lei abbandono la mia offerta e la prego di presentarvela. Il suo Figlio divino, mio sposo diletto, nei giorni della sua vita mortale, ci ha detto: "Tutto ciò che domanderete al Padre in nome mio, ve lo darà!". Sono dunque certa che esaudirete i miei desideri; lo so, mio Dio, più volete dare, più fate desiderare. Sento nel mio cuore desideri immensi e ti chiedo con tanta fiducia di venire a prendere possesso della mia anima. Ah! non posso ricevere la santa comunione così spesso come vorrei, ma, Signore, non siete l'onnipotente?... Restate in me come nel tabernacolo, non allontanateti mai dalla vostra piccola ostia...Vorrei consolarti dell'ingratitudine dei cattivi e ti supplico di togliermi la libertà di dispiacerti. Se qualche volta cado per mia debolezza, il tuo sguardo divino purifichi subito la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma ogni cosa in se stesso...Ti ringrazio, o mio Dio, di tutte le grazie che m'avete accordate, in particolare di avermi fatta passare attraverso il crogiolo della sofferenza. Sarò felice di vederti comparire, nel giorno finale, con lo scettro della croce. Poiché ti sei degnato di darmi come eredità questa croce tanto preziosa, spero di rassomigliare a te nel cielo e di veder brillare sul mio corpo glorificato le sacre stimmate della vostra passione. Dopo l'esilio della terra, spero di venire a goderti nella patria, ma non voglio ammassare dei meriti per il cielo, voglio lavorare solo per tuo amore, con l'unico scopo di farti piacere, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare anime che ti ameranno eternamente. Al crepuscolo di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno macchie ai vostri occhi (Is 64,6). Voglio quindi vestirmi della tua Giustizia e ricevere dal Tuo Amore il possesso eterno di Te stesso. Non voglio nessun altro Trono e nessun’ altra Corona che te, mio Diletto… Ai tuoi occhi il tempo non è nulla; un giorno solo è come mille anni (Sal 89,4), tu poi quindi in un istante prepararmi a comparire davanti a te...Affinchè io possa vivere in un atto di perfetto amore, MI OFFRO COME VITTIMA D'OLOCAUSTO AL TUO AMORE MISERICORDIOSO, supplicandoti di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i flutti d'infinita tenerezza che sono racchiusi in te, e così possa diventare martire del tuo amore, o mio Dio!...Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a Te, mi faccia infine morire e la mia anima si slanci senza alcuna sosta verso l'eterno abbraccio del tuo amore misericordioso...Voglio, o mio Diletto, ad ogni battito del cuore rinnovarti questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirti il mio amore in un faccia a faccia eterno!

Maria Francesca Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo di Gesù
rel. carm. ind.

Festa delta Santissima Trinità,
il 9 giugno dell'anno di grazia 1895

venerdì 11 maggio 2007

Caro Prodi, laico sarà lei


di Andrea Piersanti

Caro Prodi, lei si è distratto da sé stesso. Difende la laicità dello Stato e cita il Vangelo. Ricorda infatti che si deve dare a Cesare quel che è di Cesare ma scorda che si deve dare a Dio quello che è di Dio. Lei dice che la politica italiana ha perso la capacità di “andare all’essenziale”. Viene da domandarle: cosa è essenziale? Lei vive. Come sua moglie, i suoi parenti e gli amici più cari, come ognuno di noi, la mattina si alza dal letto e può godere di quella che Totò definì “La meravigliosa e straziante bellezza del Creato” (nella sua ultima battuta cinematografica recitata con un sospiro prima di morire). Lei può godere del più grande mistero della nostra storia che è il soffio della vita così come possono farlo i milioni di concittadini che da lei sono governati. Da quale essenzialità lei pensa che le sia arrivato questo dono. Da Cesare?

Lei si è distratto da sé stesso e dalla sua natura umana. Se fosse un privato cittadino, mi limiterei ad un piccolo cruccio intimo. Lei, però, è il Presidente del Consiglio del paese dove vivo e dove vivono mia moglie e i miei figli. Mi viene, quindi, di invitarla umilmente a non permettere che il paese si distragga da sé stesso.

Lei dice che senza “il senso laico dello Stato” si tornerebbe indietro di secoli. Dispiace l’ipocrisia implicita nella sua affermazione. Lei, che pure si dice cattolico e praticante, evidentemente ha dimenticato che il progresso dell’occidente, dove lei vive, si è sviluppato in questi secoli grazie alla novità rivoluzionaria del comandamento nuovo che ci è stato consegnato duemila anni fa. Anche i miglioramenti delle condizioni di vita delle classi sociali più deboli sono nate sull’onda d’urto di un comandamento, non laico, dove si dice che, per un unico Padre, noi tutti siamo fratelli e sorelle.

Lei ha dimenticato che, al contrario, il laicismo e l’indifferenza verso il nostro prossimo, ridotto a numero e macchina produttiva, hanno portato le nostre culture sul baratro dei campi di sterminio, dei gulag e della guerra. Una vertigine di orrore dove la distrazione da noi stessi ha raggiunto un acme tragico e insanguinato con il martirio di troppe vite innocenti.

Lei dice che vorrebbe aprire una cattedra della “coalizione”. “Sono il maggior esperto al mondo”, afferma con un sorriso. Viene di chiederle: le sembra una battuta divertente? La coalizione di interessi fra esseri umani nasce dal riconoscimento comune di una essenzialità della vita che lei evidentemente non sa neanche dove sia di casa. Cosa insegnerebbe dalla sua cattedra? Che le famiglie devono smettere di fare ciò che è più essenziale al progresso della umanità, cioè riprodursi e, con i figli, costruire il futuro?

A Roma, nella piazza di San Giovanni, oggi centinaia di migliaia di persone normali, le stesse alle quali lei dovrebbe garantire un buon governo della cosa pubblica, scenderanno in piazza per ricordarle che proprio la laicità di cui lei parla è destinata a riportarci indietro di secoli. Si fermi di fronte alla “Meravigliosa e straziante bellezza del creato”. Solo dopo averla amata, si chieda chi deve ringraziare. Cesare?

mai pubblicato

giovedì 10 maggio 2007

Novena delle rose

Santissima Trinità Padre, Figlio e Spirito Santo io vi ringrazio per tutti i favori e le grazie di cui avete arricchito l'anima della Vostra serva Santa Teresa del Bambin Gesù del Volto Santo, Dottore della Chiesa, durante i suoi ventiquattro anni trascorsi su questa terra e , per i meriti di questa Vostra Santa Serva, concedetemi la grazia che ardentemente desidero (qui si formula la grazia che si vuole ricevere) se è conforme alla Vostra Santa Volontà e per il bene della mia anima.Aiutate la mia fede e la mia speranza , o Santa Teresa del Bambin Gesù del Volto Santo; realizzate ancora una volta la Vostra promessa di passare il vostro Cielo a fare il bene sulla terra, permettendo che io riceva una rosa come segno della grazia che desidero ricevere.

Si recitano a seguito 24 "Gloria al Padre..." seguiti da:

Santa Teresa del Bambin Gesù del Volto Santo, prega per noi.

lunedì 7 maggio 2007

Figli dei media


di Andrea Piersanti
I figli sono tornati d’attualità. Lo hanno fatto con forza e con violenza a Catania dove hanno ucciso, non solo simbolicamente, un padre esemplare. I figli sono tornati d’attualità con le assurdità quotidiane del bullismo scolastico riprese con i telefonini e pubblicate su Internet.
I figli sono tornati d’attualità nello sciacallaggio mediatico intorno alle lacrime della figlia di Raciti in Chiesa. Quel suo “caro papino” è rimbalzato mille volte nelle case degli italiani. I figli sono tornati d’attualità e sono ormai spesso in prima pagina. Ma sono soli. Come la figlia di Raciti che, da oggi, è sola veramente.
Lo ha detto bene ieri Marco Palmisano, presidente di un club intitolato a Santa Chiara, la patrona della televisione. “Negli Stati Uniti d’America, oltre il 61% dei bambini tra i 3 e i 9 anni soffre di turbe comportamentali da solitudine. In Europa questa percentuale si abbassa fino al 35% di Malta, Spagna e Belgio, mentre in Italia, è al 40%”, ha scritto nel suo commento su queste pagine. I nostri figli infatti sono soli di fronte ai media che, quotidianamente, li massacrano.
Solo così si può spiegare l’arroganza di uno come Dino De Laurentiis che produce film orrendi come quelli sul cannibale Hannibal Lecter e che dice, senza timore del ridicolo, che sono i genitori che dovrebbero impedire ai propri figli di vedere certe pellicole.
I nostri figli, dalla loro solitudine piena di incubi, guardano al mondo e urlano una unica e ossessiva richiesta di attenzione. Smettono di mangiare per somigliare a modelli estetici impossibili. Si improvvisano filmakers di inutili prodezze per poterle pubblicare su Internet e diventare, magari anche solo per un minuscolo istante, degni dell’attenzione degli altri. Vanno allo stadio e distruggono tutto solo per potersi rivedere, la sera, nelle immagini dei telegiornali e delle trasmissioni sportive. Scrivono gigantesche e ingenue frasi d’amore sui ponti e sui viadotti. Un volta bastava un bigliettino.
Gli adulti guardano e, divertiti da tanto esibizionismo, tramutano il disagio in macchine da spettacolo e girano operette come “Tre metri sopra il cielo”, un film tratto dal romanzo omonimo di Federico Moccia, un quarantenne che non si vergogna di dire in pubblico che le diciassettenni di oggi sono “superdonne” e che quindi si può predicare “la libertà di amare”.
I nostri figli inoltre sono soli anche in televisione dove, nei reality, vengono chiamati ad improvvisare competenze che solo la lenta pazienza dei padri e dei maestri può insegnare. I nostri figli sono sempre più soli e, in solitudine, alcuni di loro finiranno in galera. A guardare la televisione.
“La dignità di un popolo si misura dalla capacità di memoria che sa trasmettere ai propri figli. Un popolo senza memoria è un popolo senza radici e senza futuro”, ha scritto ieri Palmisano. È un appello drammatico ma che è destinato a perdersi. Noi adulti siamo diventati sordi al grido di dolore che i figli ci lanciano dal pozzo di solitudine dove il nostro edonismo mediatico da strapazzo li ha precipitati.
Pubblicato su Il Giornale l'8 febbraio 2007

domenica 6 maggio 2007

Novena a Santa Teresina

(Si dirà la preghiera seguente nove giorni di seguito per un caso disperato).

Cara piccola Teresa del Bambino Gesù, grande Santa del puro amor di Dio, vengo oggi a confidarti il mio ardente desiderio. Sì, molto umile vengo a sollecitare la tua potente intercessione per la grazia seguente...(esprimerla qui).Poco tempo prima di morire, hai chiesto a Dio di poter trascorrere il tuo Cielo facendo del bene sulla terra. Hai anche promesso di spandere su di noi, i piccoli, una pioggia di rose. Il Signore ha esaudito la tua preghiera: migliaia di pellegrini lo testimoniano a Lisieux e nel mondo intero. Forte di questa certezza che tu non rigetti i piccoli e gli afflitti, vengo con fiducia a sollecitare il tuo aiuto. Intercedi per me presso il tuo Sposo Crocifisso e glorioso. Digli il mio desiderio. Egli ti ascolterà, perché tu non gli hai mai rifiutato nulla sulla terra.Piccola Teresa, vittima d'amore per il Signore, patrona delle missioni, modello delle anime semplici e confidenti, mi rivolgo a te come una grande sorella molto potente e amorevolissima. Ottienimi la grazia che ti chiedo, se questa è la volontà di Dio. Sii benedetta, piccola Teresa, per tutto il bene che ci hai fatto e ti auguri di prodigarci ancora fino alla fine dei mondo.Sì, sii mille volte benedetta e ringraziata di farci così toccare in qualche modo la bontà e la misericordia dei nostro Dio! Amen.

mercoledì 2 maggio 2007

La bellezza salverà i media, parola di Papa


di Andrea Piersanti
Bellezza e amore. Sanremo incombe e le canzonette che ascolteremo durante il festival della canzone ripeteranno all’infinito queste parole: bellezza e amore. Fino alla noia. Fino alla perdita del loro significato stesso.
Ieri però, per fortuna, Papa Benedetto XVI ci ha ricordato che nella nostra vita ci deve essere lo spazio anche per la terza dimensione, quella della Verità. Lo ha fatto con il messaggio per la 41ma Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali che la Chiesa celebrerà il prossimo 20 maggio. Il contenuto del messaggio Pontificio è stato reso noto ieri dal Vaticano.
“Il tema della 41ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, "I bambini e i mezzi di comunicazione: una sfida per l'educazione" – ha detto Benedetto XVI - ci invita a riflettere su due aspetti che sono di particolare rilevanza. Uno è la formazione dei bambini. L’altro, forse meno ovvio ma non meno importante, è la formazione dei media”.
Secondo il Papa c’è una stretta relazione fra le sfide dell’educazione e la “diffusa influenza dei media nel nostro mondo”. Ai genitori, alla scuola e anche alla stessa Chiesa spetta il compito di educare i bambini ad una corretta interpretazione dei messaggi che vengono dalla tv, dal cinema e dai videogames, spiega. Ma questa educazione, sottolinea il Papa, “dovrebbe essere positiva. Ponendo i bambini di fronte a quello che è esteticamente e moralmente eccellente, essi vengono aiutati a sviluppare la propria opinione, la prudenza e la capacità di discernimento. È qui importante riconoscere il valore fondamentale dell’esempio dei genitori e i vantaggi nell'introdurre i giovani ai classici della letteratura infantile, alle belle arti e alla musica nobile. La bellezza, quasi specchio del divino, ispira e vivifica i cuori e le menti giovanili, mentre la bruttezza e la volgarità hanno un impatto deprimente sugli atteggiamenti ed i comportamenti”.
La bellezza è vivificante, la bruttezza, invece, è deprimente. Come dargli torto? Lo sanno tutti coloro che si occupano seriamente di psicoterapia. Solo ciò che è “esteticamente e moralmente eccellente” è in grado di alleviare le sofferenze dell’animo. È un messaggio forte nell’epoca del “tutti giovani e belli”. Fra silicone e bisturi della chirurgia estetica, la bellezza è diventata una merce come le altre. Restituirle una dimensione etica è addirittura rivoluzionario.
“L’educazione ai media richiede formazione nell’esercizio della libertà – ha detto ieri il Papa -. Si tratta di una responsabilità impegnativa. Troppo spesso la libertà è presentata come un’instancabile ricerca del piacere o di nuove esperienze. Questa è una condanna, non una liberazione! Questo desiderio profondamente sentito di genitori ed insegnanti di educare i bambini nella via della bellezza, della verità e della bontà può essere sostenuto dall’industria dei media solo nella misura in cui promuove la dignità fondamentale dell’essere umano, il vero valore del matrimonio e della vita familiare, le conquiste positive ed i traguardi dell’umanità. Le parrocchie ed i programmi delle scuole – ha concluso con quello che sembra un sospiro - oggi dovrebbero essere all’avanguardia per quanto riguarda l’educazione ai media”.
La bellezza è negli occhi di chi guarda, diceva Charlie Chaplin. Benedetto XVI è andato ben oltre. “Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all'altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno", aveva scritto nella sua prima Enciclica Deus Caritas Est.
Pubblicato su Il giornale il 25 gennaio 2007

martedì 1 maggio 2007

Novena a Santa Teresa di Lisieux

Ogni giorno della novena, si dirà il ‘Padre Nostro’ e l"Ave Maria', due preghiere che la piccola Teresa amava molto. Un giorno disse: «A volte, quando il mio spirito è in un'aridità così grande che mi è impossibile ricavarne un pensiero per unirmi al Buon Dio, recito molto lentamente un ‘Padre Nostro’ e poi il saluto angelico; allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono la mia anima ben più che se le recitassi precipitosamente un centinaio di volte...»
1° Giorno: LA PICCOLEZZA
Celina racconta: «Tutta scoraggiata, con il cuore grosso per una lotta che mi sembrava insormontabile, andai a dire a Teresa: "Questa volta è impossibile, non ce la faccio a superarla!" "Non mi stupisce", mi rispose. "Noi siamo troppo piccole per superare le difficoltà, dobbiamo passarci sotto".
Ella mi ricordò allora un episodio della nostra infanzia. Eccolo. Ci trovavamo presso dei vicini ad Alençon; un cavallo ci sbarrava l'entrata del giardino. Mentre i grandi cercavano un altro accesso, la nostra amichetta non trovò di meglio che passare sotto l'animale. Si infilò per prima e mi tese la mano, la seguii con Teresa e senza dover piegare troppo la nostra piccola persona raggiungemmo la meta.
"Ecco che cosa si guadagna ad essere piccoli", concluse. "Non ci sono ostacoli per i piccoli, si intrufolano dappertutto. Le grandi anime possono superare i problemi, raggirare le difficoltà, arrivare a mettersi al di sopra di tutto con il ragionamento e la virtù, ma noi che siamo piccolissime, dobbiamo guardarci bene dal provarci. Passiamo sotto! Passare sotto ai problemi significa non affrontarli troppo da vicino, non ragionarci troppo sopra".»
Proposito
Oggi sforzati di accettare nell'amore tutte le situazioni che non sono conformi a ciò che desideri o ti aspetti, per conservare sempre nel tuo intimo la pace e la gioia. Padre Nostro ... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Il mio Cielo è restare sempre in sua presenza, chiamarlo Padre mio ed essere sua figlia».
2° Giorno: LA FIDUCIA
La via della piccola Teresa è fondata sulla fiducia e sull'amore. Ella dice: «Custodite con cura la vostra fiducia, è impossibile che Dio non ne tenga conto, perché Egli misura sempre i suoi doni secondo la nostra fiducia».
Ella racconta la storia seguente: «Un re, partito per la caccia, stava inseguendo un coniglio bianco che i suoi cani stavano per raggiungere, quando il coniglietto, sentendosi perduto, ritornò rapidamente indietro e saltò nelle braccia del cacciatore. Costui, commosso da tanta fiducia, non volle più separarsi dal coniglio bianco, e non permise a nessuno di occuparsene, riservandosi perfino il compito di nutrirlo. Lo stesso farà con noi il Buon Dio se inseguiti dalla giustizia, rappresentata dai cani, cercheremo rifugio nelle braccia stesse del nostro Giudice...»
Proposito
Oggi, ogni volta che ti capita di fare uno sbaglio, sforzati di cercare rifugio nelle braccia del Padre Divino, come ha fatto il coniglietto. Poni anche una tale fiducia nella Sua Misericordia da non avere più alcuna tristezza per avere commesso questa imperfezione. Padre Nostro ... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Più sarai povera, più Gesù ti amerà, Egli andrà lontano per cercarti, se talvolta ti smarrissi un po'».

3° Giorno: IL SORRISO
La piccola Teresa dice: «Il mio modo speciale è quello di essere gioiosa, di sorridere sempre, sia quando cado che quando ottengo una vittoria». «Quando non capisco niente degli avvenimenti sorrido e dico grazie».
«Quando soffro molto, invece di avere un'aria triste, reagisco con un sorriso. All'inizio non ci riuscivo molto bene, ma ora è un'abitudine che sono felice di aver preso».
Proposito
Oggi sforzati di offrire a Dio le situazioni dolorose della tua giornata reagendo con un sorriso. Padre Nostro ... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Quando posso, faccio del mio meglio per essere gaia, per far piacere».

4° Giorno: L’AMORE DEL PROSSIMO
«C'è in comunità una sorella che ha il talento di dispiacermi in tutto... ma non volevo cedere all'antipatia naturale che provavo. Mi sono detta che la carità non doveva consistere nei sentimenti, ma nelle opere, perciò mi sono impegnata a fare per questa sorella ciò che avrei fatto per la persona che amo di più. Ogni volta che la incontravo pregavo per lei il Buon Dio, offrendoGli tutte le sue virtù e i suoi meriti... Non mi limitavo a pregare molto per la sorella che mi procurava tante lotte: mi sforzavo di farle tutti i favori possibili e, quando avevo la tentazione di risponderle in modo sgarbato, mi limitavo a farle il mio più gentile sorriso e mi sforzavo di sviare il discorso... Spesso poi, quando non ero in ricreazione (voglio dire durante le ore di lavoro), avendo alcuni rapporti di ufficio con questa sorella, quando le mie lotte erano troppo violente, fuggivo come un disertore. Poiché ella ignorava assolutamente ciò che provavo per lei, mai ha supposto i motivi del mio comportamento ed è persuasa che il suo carattere mi sia simpatico. Un giorno in ricreazione mi disse con un'espressione contentissima press'a poco queste parole: "Vorrebbe dirmi, mia Suor Teresa di Gesù Bambino, cosa l'attira tanto verso di me, che ogni volta che mi guarda la vedo sorridere?" Ah, ciò che mi attirava era Gesù nascosto in fondo alla sua anima, Gesù che rende dolce ciò che c'è di più amaro!»
Proposito
Oggi sforzati di fare un atto di carità, una parola, un gesto verso qualcuno con cui forse fai fatica ad intenderti. Padre Nostro ... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Una parola, un sorriso gentile, spesso bastano per rasserenare un'anima triste».

5° Giorno: L’UMILTA’
La piccola Teresa dice: «Praticherete l'umiltà che non consiste a pensare e a dire che siete pieni di difetti, ma ad essere felice che altri lo pensino e perfino lo dicano».
Una delle sue sorelle dà la seguente testimonianza: «Una suora anziana non riusciva a capire come fosse possibile che Suor Teresa del Bambino Gesù, così giovane, si occupasse delle novizie e senza troppi complimenti le faceva sentire le sue riserve a questo proposito. Un giorno durante la ricreazione essa le disse delle parole molto dure, e fra l'altro che doveva piuttosto pensare a guidare se stessa che dirigere le altre. Io osservavo attentamente la scena da lontano, l'aria di dolcezza angelica della Serva di Dio contrastava fortemente con l'aria appassionata della sua interlocutrice e la sentii rispondere: "Ah! Sorella, lei ha proprio ragione e sono anche più imperfetta di quanto lei creda!"»
Proposito
Quanto è grande l'Amore di Dio per ogni uomo! Oggi sforzati di accettare l'altro così com'è, perché tu stesso ricevi costante­mente la Misericordia di Dio, malgrado le tue debolezze e le tue imperfezioni. Padre Nostro... Ave Maria... Gloria al Padre...
«La Santità non è in questa o quella pratica, essa consiste in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli tra le braccia del Buon Dio, coscienti della nostra debolezza e confidenti fino all'audacia nella sua bontà di Padre».

6° Giorno: LA VITA NASCOSTA
Secondo la sua esperienza, la piccola Teresa confessa che l'ultimo posto è il meno desiderato in una comunità. Tuttavia è sicuramente proprio lì che si trova Gesù. Per esprimere questo concetto ella prende l'immagine di un insignificante granello di sabbia su una grande spiaggia e dice alle sue novizie: «Soprattutto siamo piccole, così piccole che tutti possano calpestarci, senza neppure che noi mostriamo di sentirlo e soffrirne...» «Quale beatitudine essere nascosta così bene che nessuno pensa a te; essere sconosciuta perfino alle persone che vivono con te!» «Il granello di sabbia non desidera essere umiliato: sarebbe ancora troppo importante, giacché si sarebbe obbligati ad occuparsi di lui; egli non desidera che una cosa: essere dimenticato, non contare nulla! Ma desidera essere visto da Gesù! »
Proposito
Oggi sforzati di fare tutto per amore di Dio senza aspettarti nessuna riconoscenza da parte degli uomini, nella sola gioia che Dio lo veda. Padre Nostro... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticarmi per far piacere e da allora fui felice!»

7° Giorno: ESSERE UNA MADRE PER I SACERDOTI
La piccola Teresa dice: «Ebbene, io sono la figlia della Chiesa... Le opere clamorose gli sono vietate: non può predicare il Vangelo, versare il suo sangue... Ma che importa? I suoi fratelli lavorano al posto suo e lui, piccolo bambino, si mette vicinissimo al Re e alla Regina, ama per i suoi fratelli che combattono... Ma come testimonierà il suo Amore, dal momento che l'Amore si prova con le opere? Non ho altro mezzo per provarti il mio amore che gettare fiori, cioè non lasciar sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna parola, approfittare di tutte le cose più piccole e farle per amore!... Voglio soffrire per amore e anche gioire per amore».
Ella scrive al Padre Roulland, che le è stato donato come fratello: «Tutto quanto chiedo a Gesù per me, lo chiedo anche per lei. Come Giosuè, lei combatte nella pianura. Io sono il suo piccolo Mosè e incessantemente il mio cuore è rivolto verso il Cielo per ottenere la vittoria. O fratello mio, come sarebbe da compiangere se Gesù stesso non sostenesse le braccia del suo Mosè!»
Proposito
Oggi sforzati di offrire coscientemente per il Santo Padre, tutte le situazioni spiacevoli e dolorose. Padre Nostro... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Non potrei dimenticare di pregare per tutti, senza lasciar da parte i semplici sacerdoti... Insomma voglio essere figlia della Chiesa come lo era la nostra Madre Santa Teresa e pregare secondo le intenzioni del nostro Santo Padre il Papa, sapendo che le sue intenzioni abbracciano l'universo. Ecco lo scopo generale della mia vita».

8° Giorno LA RICONOSCENZA
La piccola Teresa dice: «Ciò che attira maggiormente le grazie del Buon Dio, è la riconoscenza, perché se noi Lo ringraziamo per un beneficio, Egli è commosso e si affretta di darcene altri dieci e se Lo ringraziamo ancora con la stessa effusione, che incalcolabile moltiplicazione di grazie! Ne ho fatto l'esperienza, provate e vedrete. La mia gratitudine è infinita per tutto ciò che mi concede e gliene do la prova in mille modi».
Proposito
Oggi metti per iscritto venti ragioni per le quali vuoi ringraziare Dio. Non dimenticare di metterci concretamente un momento doloroso della tua vita. Farai sgorgare da questa sofferenza una grazia per tanti altri se sai offrirla per amore. Padre Nostro... Ave Maria... Gloria al Padre...
«Offriamo volentieri le nostre sofferenze a Gesù per salvare le anime. Povere anime! Esse hanno meno grazie di noi e tuttavia tutto il sangue di un Dìo è stato versato per salvarle».

9° Giorno: LA PIOGGIA DI ROSE
La piccola Teresa ha promesso molte volte che dopo la sua morte avrebbe fatto piovere dal Cielo dei petali di rose. Ella dice a questo proposito: «Un'anima infiammata di amore non può restare inattiva». «Se voi sapeste quanti progetti faccio su tutte le cose che farò quando sarò in Cielo... Incomincerò la mia missione...» «Ma sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri, il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra».
Proposito
Oggi invoca l'aiuto della piccola Teresa in tutte le intenzioni che ti si presentano durante il giorno, con la sicurezza di essere esaudito perché lei lo ha promesso. Padre Nostro... Ave Maria... Gloria al Padre...

«Ho sempre desiderato d'essere una santa, ma, ahimè, ho sempre constatato, quando mi sono confrontata con i Santi, che tra loro e me c'è la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia, oscuro, calpestato dai piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il Buon Dio non potrebbe ispirare desideri irrealizzabili; quindi, nonostante la mia piccolezza, posso aspirare alla santità. Farmi diversa da quello che sono, più grande, mi è impossibile: mi devo sopportare per quello che sono con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via tutta nuova. Vorrei trovare anch'io un ascensore per innalzarmi fina a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio; e ho letto queste parole uscite dalla bocca della Sapienza Eterna: ‘Se qualcuno è molto piccolo, venga a me’. Così sono arrivata a intuire che avevo trovato ciò che cercavo. E volendo sapere, o mio Dio, ciò che faresti al molto piccolo che rispondesse alla tua chiamata, ho continuato le mie ricerche ed ecco quello che ho trovato: ‘Come una madre accarezza il figlio, così io vi consolerò: vi porterò in braccio e vi cullerò sulle mie ginocchia!’ L'ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre più».