venerdì 24 giugno 2011

Una distanza giusta


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giovedì 2 giugno 2011

Tatanka: uno schiaffo per i poliziotti


Uno sparo, violento come un’esplosione, assorda le prime immagini sui titoli di testa del film “Tatanka”, opera seconda di Giuseppe Gagliardi. Il film è tratto da un racconto che Roberto Saviano (Gomorra) ha voluto dedicare ad una palestra per boxeur di Marcianise in provincia di Caserta. Le grida delle donne impaurite, un volo di gabbiani in fuga sul mare, una ripresa vertiginosa dall’alto (gli americani la chiamano “occhio di Dio”, “Godeye”) sul molo dove si è consumato l’omicidio. La macchina da presa rimane lontana. Come distaccata dal terreno. L’ammazzato è un poliziotto corrotto, ucciso dai propri corruttori, i camorristi. Il film, che si apre con un forsennato inseguimento fra i vicoli di Marcianise, narra la storia di un atleta che riesce a sfuggire al laccio mortale della camorra campana grazie al proprio talento per il pugilato. Il protagonista principale, Clemente Russo, è un vero pugile campano, poliziotto del club delle Fiamme Oro, campione mondiale di boxe, vicecampione olimpico e di nuovo in allenamento, dopo il film, per partecipare alle prossime Olimpiadi di Londra. La palestra di Marcianise, narrata da Saviano nel suo racconto e riproposta dal film, è la stessa dove il pugile Clemente Russo, ora neo attore, è veramente cresciuto e si è formato. A causa del film però, Russo si è meritato una sospensione di sei mesi dal servizio. “E gli è andata anche bene. I suoi meriti sportivi lo hanno salvato da una punizione ben più severa”, dicono i suoi colleghi. La Polizia di Stato non aveva autorizzato la sua partecipazione al film. Non sono stati resi noti i motivi ma è facile immaginare quanto dovessero essere contenti i superiori di Russo di vedere un collega recitare in un film di questo genere. Ecco cosa succede nella prima mezz’ora del racconto cinematografico. Nella questura dove stanno indagando per scoprire i killer del collega ammazzato sul molo, due poliziotti uccidono un povero ragazzo innocente. Un eccesso di tortura (quella dell’acqua fatta ingurgitare a forza, la stessa, dicono, che sarebbe stata usata a Guantanamo). Per evitare guai lo buttano in mare, come a simulare un annegamento incidentale.  Nella parte rimanente del film, la Polizia di Stato scompare, come se nella lotta quotidiana alla camorra, combattuta per strada e con un alto costo di vite umane proprio fra gli uomini e le donne in divisa, non ci fosse un ruolo per le forze dell’ordine. Gli sceneggiatori che hanno scritto "Tatanka" hanno un curriculum interessante: “Gomorra”, “L’imbalsamatore”, “La doppia ora”. Professionisti, insomma, giovani promesse nel ricambio generazionale del nuovo cinema italiano che sta arrivando. La scena che sembrerebbe aver procurato la sospensione al pugile, quella dei poliziotti torturatori e assassini, non poteva essere eliminata dal film, hanno detto gli autori. “Avrebbe snaturato il senso dell’operazione”, hanno aggiunto. È legittimo quindi domandarsi quale sia il significato di un film che dichiara di essere un atto di accusa contro la criminalità organizzata e che invece se la prende con i tutori dell’ordine, gli unici che ogni giorno combattono veramente mafia, camorra e ndrangheta.  Il Ministero degli Interni in questi mesi sta collezionando una serie impressionante di arresti. I criminali organizzati del Sud non sono mai stati così perseguitati. Sono i poliziotti e i Carabinieri a rischiare la vita per queste operazioni. Come nella strage di Capaci. Come in mille altri agguati meno noti. Si tratta di un elenco lungo e doloroso. Ma per una certa cultura della sinistra, Saviano in testa, la Polizia è sempre da bastonare. Come ai tempi del ’68, nelle rivolte chic di Valle Giulia a Roma. “È triste. Siete in ritardo, figli. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”, scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1968. Uno scrittore vero. Diverso da Saviano.