domenica 26 ottobre 2008

Wall-E baseball con Eve

Le donne della Disney


Sono cambiate anche le donne della Disney. Meno oche e più materne, hanno conquistato oggi una posizione inedita nella fabbrica dell’immaginario di Hollywood. Nel nuovo mega-film d’animazione della Disney – Pixar, “Wall-E”, il personaggio femminile (è un robot, ma non fa niente) si chiama Eve. Ha le linee rotonde e candide di un oggetto disegnato dalla Apple (hanno notato alcuni maligni blogger americani) e porta dentro il suo ventre il seme della vita. Il personaggio maschile del film invece è proprio il Wall-E del titolo. Uno spazzino (un robot anche lui, ma non fa niente) lasciato sulla terra superinquinata e coperta di immondizia a raccogliere rifiuti, pressarli in cubi di metallo e metterli in ordine in vertiginose torri alte come i grattacieli di New York. Quando i due si incontrano scoppia l’amore. La trama è semplice e sarebbe stupido rovinare la sorpresa a chi vorrà portare i propri figli a vedere questo delizioso e poetico cartone animato. Rimane da riflettere sull’immagine della donna e della famiglia che alla nuova Disney conquistata dalla Pixar di John Lasseter vogliono trasmettere alle sterminate platee di tutto il mondo che andranno a vedere il film. Negli Usa intanto “Wall-E” è già un caso e spopolano i siti e i blog di fan dei due teneri personaggi robotici e antropomorfici.
La nuova donna, Eve, non solo è bella e perfetta ma ha anche il tempo per innamorarsi, per salvare il mondo e, visto che c’è, per restituire la vita al suo fidanzato. Una rivoluzione assoluta nell’immaginario cinematografico di Hollywood. Alla figura maschile invece è lasciato il compito di trovare lo spazio per la poesia e per la bellezza in un mondo che ricorda le desolate immagini che, prima dell’estate, ci arrivavano con i telegiornali dalle strade di Napoli e dintorni. Un mondo senza più vita, coperto di rifiuti, in attesa che l’umanità in crociera su una gigantesca astronave torni a popolarla. Tocca quindi a questi due cibernetici Adamo ed Eva il compito di restituire all’uomo il posto che gli spetta. Fa impressione pensare all’evoluzione delle donne della Disney. Ai tempi del suo fondatore, Cenerentola poteva sperare solo di sposare, un giorno, un bel principe azzurro. Nel frattempo le toccava spazzare e soffrire ingiustizie mentre matrigna e sorellastre passavano il tempo davanti allo specchio a ordire trame banali. La Bella Addormentata ovviamente dormiva (la summa del non ruolo). Anche a Biancaneve non toccava una sorta migliore, nella teca di cristallo dove, dormiente anche lei, aspettava di essere risvegliata. Le cose non sono andate meglio negli anni successivi. Adesso però, con Eve, c’è un’evoluzione dell’immagine femminile che fa riflettere. Nel Vecchio Testamento alla Eva biblica tocca un compito non facile: ricordarci il peso della nostra difettosa umanità di peccatori. Altra prospettiva invece la nuova Disney – Pixar attribuisce a questa Eve di un futuro non tanto lontano. A lei, tutt’altro che dormiente, toccherà restituire il soffio della vita all’umanità intera. Non solo difendendo una simbolica piantina nel cavo accogliente del suo ventre, ma agendo dinamicamente, come in un action movie, per fare in modo che alla fine nasca un nuovo umanesimo.
Come in tutti i cartoni animati che Hollywood ci ha proposto in questi anni, la prospettiva religiosa è del tutto assente. Ma alcuni stimoli subliminali fanno riflettere. Wall-E, a modo suo, ama e cerca la bellezza. Si commuove ad osservare le stelle. Eve, e gli altri robot ribelli, disobbediscono agli ordini alla luce di una morale più alta. Unica e non relativa: la salvezza della vita.
Dalla sala gli spettatori escono esprimendo giudizi positivi con aggettivi che vanno da “poetico” a “emozionante”. Anche il country manager italiano di Disney – Pixar, Paul Zonderland, introducendo il film ad una piccola platea di addetti ai lavori durante un’anteprima romana, ha detto che “Wall-E è il più bel film che abbiamo mai prodotto”. Sentimenti che si possono giustificare solo andando a fondo nell’esame della sceneggiatura di questo cartone animato. Viviamo in un’epoca contrassegnata da quella che il Cardinale Bagnasco ha definito correttamente “la pedagogia della disperazione”. Il sistema dei mass media enfatizza ogni singolo dramma della cronaca nera e i sociologi sono concordi nel ritenere che l’ansia sia ormai la malattia endemica del secolo. L’incertezza circa il proprio futuro viene compensata da un consumismo sempre più compulsivo. Gli oggetti da acquistare non sono più semplici status symbol ma diventano vere e proprie mete necessarie e ineludibili per le quali si è pronti a tutto (è di solo pochi giorni fa la notizia di una adolescente che si prostituiva per permettere al fidanzato di comprare abiti griffati). Nel frattempo i governi cercano di placare l’ansia collettiva con sistemi di controllo sempre più complessi e sofisticati. Ma "La paura viene generata anche dalle tecnologie che dovrebbero ridurla", ha detto il sociologo David Lyon. "Noi parliamo di tenologie per la sicurezza ma si tratta di tecnologie dell'insicurezza. Negli aereoporti canadesi (secondo alcuni dati ufficiali) alcune persone sono state colte da malore e una è morta a causa dell'agitazione e della paura dei controlli, nonostante non fossero accusate di terrorismo e non nascondessero proprio nulla", dice Lyon. "Viviamo nell'era del sospetto. Una volta contava chi eri e cosa sapevi fare. Oggi la regola è: cosa sappiamo di te? Non sapendo mai abbastanza, l'ansia cresce". Un vero e proprio Stato impiccione di cui ha scritto anche Pierluigi Battista sul “Corriere della Sera”. “Dicono i giuristi riuniti a Piacenza per il festival del Diritto che la nuova tecno-sorveglianza asfissiante e pervasiva porterà al “suicidio” della società – ha scritto Battista -. Ma intanto, prima che la società tiri le cuoia, è l’individuo il più esposto al pericolo d’estinzione. La “libertà dei moderni”, sosteneva Benjamin Constant, si identifica con lo spazio vitale e privato che gli individui riescono a sottrarre all’invadenza degli apparati statali, ai tentacoli di una collettività intrusiva, alle interferenze dello sguardo pubblico. Ma l’invocazione di Constant rischia di apparire oramai come una supplica disperata e impotente. La tutela della privatezza viene sacrificata sull’altare della sicurezza. La protezione di una dimensione libera perché affrancata dal dominio totalitario del controllo di Stato è cancellata dall’ambigua ideologia dell’assoluta “trasparenza””.
È la stessa condizione nella quale, nel film della Disney, vivono i resti dell’umanità in crociera nello spazio in attesa che la piccola Eve restituisca loro una prospettiva antropologica più coerente. Sono ipercoccolati dalla tecnologia che si occupa di loro fino nei minimi dettagli ma sono diventati grassi, non sanno più camminare con le proprie gambe e hanno perso il contatto con il prossimo. Parlano solo con le macchine. “Lo sposalizio tra Stato e tecnoscienza produce un “mostro freddo” ancora più spaventoso di quello descritto da Max Weber. Un mostro freddo e una corte di mostriciattoli”, ha detto Battista. Deve essere questa la vera molla che fa scattare il fascino per il film della Disney. In un mondo freddo e coperto con i rifiuti delle nostre divinità tecnologiche, potremo ritrovare dignità e bellezza solo seguendo il cuore. Solo cercando la bellezza. Difficile dire se il film scatenerà le proteste dei broabortisti e dei nemici di ogni forma di religione. Ma vedendo questo cartone animato inevitabilmente il pensiero corre al Salmo che recita “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode” (Salmo 127, Is). È quello che ci sta capitando all’alba di questo terzo millennio. Incapsulati in una società ipertecnologica, ma non per questo tranquillizzante, guardiamo al nostro futuro con ansia o, peggio, con indifferenza. La piccola robottina Eve invece costringe i nostri cuori a riaprire gli occhi. Ci costringe a ripensare all’intera nostra vita con una luce di speranza che pensavamo di avere perduto. Giovanni Paolo II, aveva scritto nelle prime righe della sua bellissima enciclica “Tertio Millennio Adveniente”: “Mentre ormai s'avvicina il terzo millennio della nuova era, il pensiero va spontaneamente alle parole dell'apostolo Paolo: « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4, 4)”.
Non sembri esagerato. I continui richiami al culto mariano che in questi anni sono venuti dal Magistero hanno miracolosamente trovato uno spazio inedito e inaspettato all’interno di un cartone animato. Il sorriso che gli spettatori hanno sulle labbra alla fine del film ricorda vagamente, a chi voglia coglierlo, quella luce di speranza che centinaia di migliaia di fedeli hanno negli occhi quando si recano in pellegrinaggio nei luoghi del culto Mariano, da Lourdes a Medjugorje. Lo sapeva bene Giovanni Paolo II che così chiudeva la “Tertio Millennio Adveniente”: “Affido questo impegno di tutta la Chiesa alla celeste intercessione di Maria, Madre del Redentore. Ella, la Madre del bell'amore, sarà per i cristiani incamminati verso il grande Giubileo del terzo millennio la Stella che ne guida con sicurezza i passi incontro al Signore. L'umile Fanciulla di Nazaret, che duemila anni fa offerse al mondo il Verbo incarnato, orienti l'umanità del nuovo millennio verso Colui che è « la luce vera, quella che illumina ogni uomo » (Gv 1, 9)”.
Non sappiamo quale luce abbia illuminato la mente e il cuore degli uomini della Disney che hanno scritto e disegnato questo nuovo film. Sappiamo però che l’emozione che corre sullo schermo non si potrebbe spiegare in altro modo. “La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia”, ha detto Benedetto XVI a Lourdes. Davanti alla spianata piena di decine di migliaia di fedeli, il Santo Padre ha detto: “"A tutti gli uomini di buona volontà che mi ascoltano io ridico con San Paolo: Fuggite il culto degli idoli, non smettete di fare il bene. Il denaro, la sete dell'avere, del potere e persino del sapere, non hanno forse distolto l'uomo dal suo Fine, vero?".

venerdì 24 ottobre 2008

domenica 19 ottobre 2008

Il passato non è una terra straniera


La conclusione è che in Italia non siamo capaci di fare i conti con il nostro passato. In questi mesi il dibattito è esploso con violenza. Soprattutto in campo cinematografico, ma non solo. A partire dal caso più recente, il film su "La banda Baader Meinhof". "I tedeschi fanno l'autocritica con il loro passato – ha scritto Giacomo Ferrari su "Libero" -. Noi invece no". Ci sono state però anche le proteste per il film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna" sulla strage di civili nella piccola località di Stazzema nella Garfagnana. L'Associazione dei partigiani ha accusato il regista di aver osato indicare le responsabilità della resistenza in quell'eccidio dimenticato. "L'Italia deve fare ancora un grande esame di coscienza: sulla sua storia ed in particolare sulla seconda Guerra mondiale – ha detto Spike Lee a Giovanni Minoli -. Per me tutte queste polemiche evidenziano solo una cosa: che le ferite che l'Italia ha ricevuto in seguito alla guerra civile, alla seconda guerra mondiale, non si sono ancora rimarginate. Sono ferite ancora aperte».
Ferite aperte e difficili da chiudere come le polemiche sul film "Il sangue dei vinti" tratto dal romanzo di Giampaolo Pansa. "Una vera porcheria revisionista", secondo il giudizio di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista. Neanche con la Grande Guerra, adesso che ne ricorre il novantesimo anniversario, è possibile sottrarsi al fuoco del dibattito. "La canzone del Piave è razzista", hanno detto alcuni esponenti del centro sinistra costringendo anche l'ex presidente Ciampi a intervenire per cercare di smussare i toni. Per non parlare poi del dibattito su fascismo e antifascismo scatenato dalle dichiarazioni di Alemanno che ha finito per coinvolgere le più alte cariche dello Stato e che si è trascinato per intere settimane.
La storia contemporanea disturba la politica ma affascina il pubblico. Al Festival di Roma il sondaggio degli spettatori, fra i tanti film proposti, alla fine ha premiato con il Marc'Aurelio d'Oro "Resolution 819" di Giacomo Battiato, sulla strage di Srebrenica in Bosnia, una pellicola che non ha ancora trovato un distributore italiano.
Sorprende, però, che le tante polemiche a sfondo storico si siano tramutate ancora una volta in altrettante occasioni mancate di comprensione della nostra storia recente. "Il dibattito su fascismo-antifascismo per esempio svela ancora oggi i limiti, tutti italiani, di un'analisi sull'esito del '900 che è molto più complessa", dice Giampaolo Rossi, Presidente di RaiNet e membro del "Forum delle idee", conciliabolo di intellettuali istituito dal leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini. "La politica italiana – spiega Rossi - stenta a capire che non ci si può limitare ad una polemica ideologica o al tentativo a volte strumentale di ricostruire una memoria storica lacerata da una guerra civile mai risolta. Bisogna ripensare l'intera eredità del XX secolo per poter pensare il XXI. E se oggi in Italia i politici si mettono a fare gli storici, è perché per troppo tempo gli storici hanno fatto i politici, piegando la storiografia ai condizionamenti ideologici; responsabilità dei politici quindi, ma ancora di più degli intellettuali. Che strano gioco di memoria è quello di usare categorie teologiche come "male assoluto" per la nostra storia recente e relativizzare invece la storia europea, accettando di rimuoverne le radici cristiane?".
L'analisi del fallimento del Novecento porta ad interrogarsi sulla necessità di restituire speranza all'uomo del terzo millennio. Ma se si avanza l'ipotesi di costruire un nuovo umanesimo che rimetta al centro del dibattito politico e culturale un nuovo patto fra società e individuo, si viene derisi.
"Il XX secolo è stato il tempo delle utopie realizzate nelle ideologie che hanno segnato nell'orrore la nostra storia – dice Giampaolo Rossi -. Come può essere accaduta una così grandiosa smentita dei presupposti moderni, razionali e progressisti sui quali il '900 aveva iniziato la sua corsa? La grande politica dovrebbe iniziare a interrogarsi sull'esito complessivo di un secolo terrificante".
Questa sorta di miopia storica ha trovato, recentemente, un titolo emblematico: "Il passato è una terra straniera", un romanzo di Gianrico Carofiglio, premio Bancarella nel 2005, tradotto in un film che è stato proposto in concorso al Festival del cinema di Roma. Diretto da Daniele Vicari racconta l'eterna tragedia dell'uomo che non riesce a perdonare sè stesso.
"Per passato s'intende qui l'angoscia esistenziale di molti giovani, trascinati anche loro malgrado verso un abisso di cui non si conosce il punto di caduta, ma il cui punto d'arrivo è chiaramente visibile", ha scritto una fan di Carofiglio in uno dei tanti blog della rete. "Una discesa agli inferi, certo, ma vissuta con una specie di stupore soffocato, con una lucidità dolorosa ma assurdamente inconsapevole, cui non si può fare a meno di partecipare con trepidazione", le ha fatto eco un'altra blogger. Il titolo, spiega lo stesso Carofiglio, è la citazione delle parole di un romanzo di Hartley. ""Il passato è una terra straniera, le cose accadono in modo diverso da qua". Si tratta esattamente del senso racchiuso nella storia che ho voluto raccontare", ha detto lo scrittore.
"Ma il passato non è una terra straniera – dice Giampaolo Rossi -. In ballo c'è il concetto stesso di memoria, oggi tanto più attuale proprio perché la grande rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo tende ad appiattire il senso del divenire storico. Immersi in una rete informazionale che condiziona sempre più la nostra vita quotidiana tendiamo a vivere in un eterno presente in cui conoscenza ed informazione diventano una continua attualità. E ripensare al XX secolo significa ripensare anche al rischio di una tecnica che svincolata dai bisogni dell'uomo, si è dimostrata potenza livellatrice e nucleo ultimo del nichilismo".
Giovanni Paolo II, nella Fides et Ratio, diceva: "Questo nichilismo trova in qualche modo una conferma nella terribile esperienza del male che ha segnato la nostra epoca. Dinanzi alla drammaticità di questa esperienza, l'ottimismo razionalista che vedeva nella storia l'avanzata vittoriosa della ragione, fonte di felicità e di libertà, non ha resistito, al punto che una delle maggiori minacce, in questa fine di secolo, è la tentazione della disperazione".
La caratteristica essenziale dell'età moderna rimane il suo carattere plurale, multiforme, contraddittorio, del quale ogni cultura deve tener conto. Ma niente avrebbe senso se non ci ricordassimo che il primo dovere della politica è proprio quello di combattere la tentazione della disperazione, per dirla con Giovanni Paolo II, che il Novecento ci ha pesantemente lasciato in eredità. Lo ha detto recentemente anche il Cardinale Bagnasco: "L'Italia troppo spesso è raccontata attraverso una sorta di pedagogia della catastrofe che non corrisponde alla realtà".
Tentazione della disperazione, da una parte, e rimozione della memoria, dall'altra. "Una grande politica non deve limitarsi a usare la memoria ma a riconoscere che la memoria è spazio di libertà – dice Giampaolo Rossi -. Penso ad una politica che assuma su di sé la prospettiva di un nuovo umanesimo, in cui l'uomo non sia misura di se stesso (come nell'umanesimo ateo che pretendeva di fondare l'uomo nuovo, positivo, emancipato,) ma inserito in una dimensione di identità e memoria capace di dare senso alle sfide della modernità, attraverso il tema della libertà e dei nuovi diritti".