venerdì 7 gennaio 2011

Clint Eastwood e lo gnosticismo cinematografico


Una cattiva risposta ad una buona domanda. Il nuovo film diretto da Clint Eastwood, “Hereafter” (“L’aldilà”), uscito nelle sale italiane il 5 gennaio, esplora il mistero della morte con un approccio che suscita più di un motivo di perplessità. Eastwood infatti sembra voler programmaticamente ignorare la dimensione religiosa del più grande interrogativo della nostra vita. La sua chiave di interpretazione è lo gnosticismo. La salvezza raggiunta attraverso un orgoglioso e discutibile percorso di conoscenza è la filosofia che caratterizza ogni azione dei personaggi di questo film. Come la gnosi stessa, si tratta appunto di una cattiva risposta per una buona domanda. Ma non tutti sono d’accordo e il film ha già suscitato più di un entusiasmo nella cultura cosiddetta laica. Paolo Mereghetti del Corriere della Sera si domanda: “Come si può non farsi catturare da un film così diretto ed emozionante, così bello e classico?”. Curzio Maltese de La Repubblica parla addirittura di “capolavoro”. "Il più felice racconto sulla morte mai concepito sullo schermo", scrive. Secondo Mereghetti il film di Eastwood “ha l’ambizione filosofica di sottolineare un’idea della vita che vede nel Caso (con la maiuscola, nel suo articolo) un elemento centrale per orientare o disorientare le fragili azioni umane”. È un’interpretazione generosa che non ci sentiamo di condividere. Il film corale narra le vicende di tre personaggi: una donna che ha avuto un’esperienza di “premorte”, un bambino che non trova consolazione per la scomparsa prematura e tragica del proprio fratello gemello, un adulto (interpretato da Matt Damon) che ha facoltà di medium. Il film eccede in furbizia e cerca la complicità del cuore del pubblico strumentalizzando il dolore della vita: il bambino ha una madre tossicodipendente, la ragazza è stata violentata dal padre e non riesce a legarsi ad un uomo, e così via. Eastwood arriva anche, ed è la parte più scivolosa del film, a suscitare simpatia per l’ambigua attività dei presunti medium che in tutto il mondo speculano sul dolore per la scomparsa di una persona cara. “Ci sono le prove scientifiche”, grida la dottoressa di una clinica svizzera dove si studiano le esperienze di premorte, in un momento non secondario del film. Prodotto da Steven Spielberg, costato più di 50 milioni di dollari, “Hereafter” è stato accolto con freddezza in Usa e l’incasso americano (lì è uscito prima di Natale) ha superato a stento i 30 milioni di dollari. Praticamente un flop. Vedremo cosa accadrà da noi nel primo finesettimana di programmazione. Il film si apre con la compiaciuta ricostruzione dello tsunami che nel 2004 devastò il Sud Est asiatico provocando la morte di 230mila persone. Ci sono molti effetti speciali anche per l’altra scena spettacolare del film con la quale Eastwood ripropone alcuni momenti dell’attentato terroristico nella metropolitana di Londra del luglio del 2005. Sono i due passaggi cinematografici ad alta adrenalina che potranno consentire a Eastwood di correre per l’Oscar. Il film rappresenta il debutto come sceneggiatore di Peter Morgan, già noto ad Hollywood per essere l’autore delle storie sulle quali sono stati realizzati due “fact-based movies” come “Frost/Nixon” e “The Queen”. Morgan è arrivato alla sceneggiatura di “Hereafter”, dicono a Hollywood, dopo la morte di un caro amico e grazie all’incontro con Clint Eastwood. “Ad Hollywood una volta si facevano film su questi temi – ha scritto Kenneth Turan su The Los Angeles Times – ma nella Hollywood di oggi solo un regista come Eastwood, determinato a non fare mai due volte la stessa cosa, poteva avere il coraggio di realizzarlo. Sebbene il soggetto sia inusuale, la cosa convincente di “Hereafter” è proprio il modo di collocare i temi spirituali esattamente nel contesto di Hollywood”. Per voler troppo lodare il film, il critico di The Los Angeles Times, individua involontariamente proprio il punto debole della pellicola: aver raccontato un aldilà a misura delle major materialiste e laiche di Hollywood. A chi ha già visto “Hereafter” rimane invece da gestire un sentimento di spaseamento. L’unico funerale religioso, in un film dove si parla di morte, viene sbrigativamente risolto da un officiante (un prete?) che poi, in tutta fretta, sgombera il luogo di culto per far posto ad una cerimonia indù. Ma l’interrogativo più grande riguarda proprio il regista. Eastwood, nel 1992, diresse un western molto poco convenzionale, “Unforgiven” (“Gli spietati”, in italiano), un insuperato e potente apologo sul mistero della morte e sul dramma della violenza. “È una cosa grossa uccidere un uomo: gli levi tutto quello che ha... e tutto quello che sperava di avere”, diceva il protagonista di “Unforgiven”. Si tratta di una corda che a diciotto anni di distanza Eastwood con “Hereafter”, pregiudizialmente ateo e inutilmente spettacolare, non riesce più a far vibrare.