Il pianeta rosso di Veltroni è gelido. Altro che Di Pietro! Altro che il disastroso ingresso della Bonino e la pronta reazione della Binetti ("È un calcio nei denti ai cattolici del PD"). Il vero problema per Veltroni è che deve licenziare Prodi ma non sa come dirglielo. Il premier uscente infatti è la vera zavorra che impedisce al progetto politico di rimonta di Veltroni di prendere il volo. Con Prodi alle spalle, come presidente del partito, Veltroni non sa che pesci prendere. "Si parla troppo di forma dei partiti e poco della sostanza dei problemi", ha detto con un sorriso di sufficienza la Bindi. Infatti! La sostanza dei problemi politici che Veltroni si porta dietro pesa come un macigno. È evidente che non ne voglia parlare. Gli scenari sono inquietanti. Nel caso di una sua vittoria politica, Veltroni dovrebbe andare a Palazzo Chigi a governare e dovrebbe lasciare la guida del nuovo partito proprio a Prodi. Le immagini che ne conseguono sono da incubo. Almeno per Veltroni. Prima scenetta: trattativa con il capo del PDL Belusconi. A guidare la delegazione dei Democratici c'è Prodi. Una catastrofe. Seconda scenetta: trattativa interna per sedare il fuoco d'artificio fra la Bonino e la Binetti. Prodi conduce la mediazione. Un prevedibile disastro. Terza scenetta: Di Pietro dà i numeri (come al solito). A discutere con gli ex dell'Italia dei Valori va Prodi. Un macello già visto. Quarta scenetta: la sinistra estrema guidata da Bertinotti chiede di essere ascoltata e inscena clamorose quanto scontate proteste. A sedare gli animi dei comunisti scende Prodi. Da schiantare dal ridere.
C'è però anche l'altra ipotesi. Più concreta. Berlusconi vince e Veltroni deve tornare sui banchi dell'opposizione. Si inizia a discutere delle cariche istituzionali e Veltroni, non avendolo licenziato per tempo, è costretto a proporre proprio il nome di Prodi. Gli sghignazzi si sentirebbero fino in Australia.
Terza ipotesi: i due partitoni pareggiano e Veltroni è costretto a chiedere il voto dei neo centristi, compreso quello di Mastella, magari con un appoggio esterno di Bertinotti. A chi il compito di organizzare il tavolo delle trattative per conto di Veltroni se non al presidente dei Piddini, il buono e vecchio Prodi? Solo che Veltroni ha i brividi che gli corrono dietro la schiena. Lo schieramento, alla fine, sarebbe identico a quello del Governo uscente e, a ricordarglielo ogni giorno sarebbe proprio il sorriso sdentato e vagamente iettatorio del presidente del suo stesso partito.
Anche per concordare un nuovo e delicato gioco di relazioni con il Vaticano Veltroni sarebbe costretto a portarsi dietro l'ingombrante faccione di Romano. Facile immaginare l'espressione di Bertone nel momento in cui si ritrovasse costretto a stringere la mano di colui che aveva provato a legiferare sulle coppie di fatto, che aveva stretto alleanze più o meno coatte con rifondaroli e centri sociali di tutt'Italia e che aveva guidato la grande offensiva anticlericale del giornale-amico "La Repubblica".
C'è infine la quarta ipotesi: la grande alleanza fra Berlusconi e Veltroni. E Prodi? Dove lo metterebbero? In cantina?
Insomma Veltroni non ha scelta. Deve licenziare Prodi. Forse sarà questo uno degli annunciati colpi a sorpresa della campagna elettorale. Durante la sua prima uscita tv a Porta a Porta, il sorridente Veltroni infatti ha avuto un solo attimo di esitazione. È stato quando gli hanno chiesto se si sarebbe portato dietro Prodi ai comizi elettorali. Si è agitato sulla poltroncina, ha balbettato qualcosa e sulle labbra tirate gli si è formato, involontariamente, il tic lessicale che gli è più proprio: "ma anche no".
C'è però anche l'altra ipotesi. Più concreta. Berlusconi vince e Veltroni deve tornare sui banchi dell'opposizione. Si inizia a discutere delle cariche istituzionali e Veltroni, non avendolo licenziato per tempo, è costretto a proporre proprio il nome di Prodi. Gli sghignazzi si sentirebbero fino in Australia.
Terza ipotesi: i due partitoni pareggiano e Veltroni è costretto a chiedere il voto dei neo centristi, compreso quello di Mastella, magari con un appoggio esterno di Bertinotti. A chi il compito di organizzare il tavolo delle trattative per conto di Veltroni se non al presidente dei Piddini, il buono e vecchio Prodi? Solo che Veltroni ha i brividi che gli corrono dietro la schiena. Lo schieramento, alla fine, sarebbe identico a quello del Governo uscente e, a ricordarglielo ogni giorno sarebbe proprio il sorriso sdentato e vagamente iettatorio del presidente del suo stesso partito.
Anche per concordare un nuovo e delicato gioco di relazioni con il Vaticano Veltroni sarebbe costretto a portarsi dietro l'ingombrante faccione di Romano. Facile immaginare l'espressione di Bertone nel momento in cui si ritrovasse costretto a stringere la mano di colui che aveva provato a legiferare sulle coppie di fatto, che aveva stretto alleanze più o meno coatte con rifondaroli e centri sociali di tutt'Italia e che aveva guidato la grande offensiva anticlericale del giornale-amico "La Repubblica".
C'è infine la quarta ipotesi: la grande alleanza fra Berlusconi e Veltroni. E Prodi? Dove lo metterebbero? In cantina?
Insomma Veltroni non ha scelta. Deve licenziare Prodi. Forse sarà questo uno degli annunciati colpi a sorpresa della campagna elettorale. Durante la sua prima uscita tv a Porta a Porta, il sorridente Veltroni infatti ha avuto un solo attimo di esitazione. È stato quando gli hanno chiesto se si sarebbe portato dietro Prodi ai comizi elettorali. Si è agitato sulla poltroncina, ha balbettato qualcosa e sulle labbra tirate gli si è formato, involontariamente, il tic lessicale che gli è più proprio: "ma anche no".