La conclusione è che in Italia non siamo capaci di fare i conti con il nostro passato. In questi mesi il dibattito è esploso con violenza. Soprattutto in campo cinematografico, ma non solo. A partire dal caso più recente, il film su "La banda Baader Meinhof". "I tedeschi fanno l'autocritica con il loro passato – ha scritto Giacomo Ferrari su "Libero" -. Noi invece no". Ci sono state però anche le proteste per il film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna" sulla strage di civili nella piccola località di Stazzema nella Garfagnana. L'Associazione dei partigiani ha accusato il regista di aver osato indicare le responsabilità della resistenza in quell'eccidio dimenticato. "L'Italia deve fare ancora un grande esame di coscienza: sulla sua storia ed in particolare sulla seconda Guerra mondiale – ha detto Spike Lee a Giovanni Minoli -. Per me tutte queste polemiche evidenziano solo una cosa: che le ferite che l'Italia ha ricevuto in seguito alla guerra civile, alla seconda guerra mondiale, non si sono ancora rimarginate. Sono ferite ancora aperte».
Ferite aperte e difficili da chiudere come le polemiche sul film "Il sangue dei vinti" tratto dal romanzo di Giampaolo Pansa. "Una vera porcheria revisionista", secondo il giudizio di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista. Neanche con la Grande Guerra, adesso che ne ricorre il novantesimo anniversario, è possibile sottrarsi al fuoco del dibattito. "La canzone del Piave è razzista", hanno detto alcuni esponenti del centro sinistra costringendo anche l'ex presidente Ciampi a intervenire per cercare di smussare i toni. Per non parlare poi del dibattito su fascismo e antifascismo scatenato dalle dichiarazioni di Alemanno che ha finito per coinvolgere le più alte cariche dello Stato e che si è trascinato per intere settimane.
La storia contemporanea disturba la politica ma affascina il pubblico. Al Festival di Roma il sondaggio degli spettatori, fra i tanti film proposti, alla fine ha premiato con il Marc'Aurelio d'Oro "Resolution 819" di Giacomo Battiato, sulla strage di Srebrenica in Bosnia, una pellicola che non ha ancora trovato un distributore italiano.
Sorprende, però, che le tante polemiche a sfondo storico si siano tramutate ancora una volta in altrettante occasioni mancate di comprensione della nostra storia recente. "Il dibattito su fascismo-antifascismo per esempio svela ancora oggi i limiti, tutti italiani, di un'analisi sull'esito del '900 che è molto più complessa", dice Giampaolo Rossi, Presidente di RaiNet e membro del "Forum delle idee", conciliabolo di intellettuali istituito dal leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini. "La politica italiana – spiega Rossi - stenta a capire che non ci si può limitare ad una polemica ideologica o al tentativo a volte strumentale di ricostruire una memoria storica lacerata da una guerra civile mai risolta. Bisogna ripensare l'intera eredità del XX secolo per poter pensare il XXI. E se oggi in Italia i politici si mettono a fare gli storici, è perché per troppo tempo gli storici hanno fatto i politici, piegando la storiografia ai condizionamenti ideologici; responsabilità dei politici quindi, ma ancora di più degli intellettuali. Che strano gioco di memoria è quello di usare categorie teologiche come "male assoluto" per la nostra storia recente e relativizzare invece la storia europea, accettando di rimuoverne le radici cristiane?".
L'analisi del fallimento del Novecento porta ad interrogarsi sulla necessità di restituire speranza all'uomo del terzo millennio. Ma se si avanza l'ipotesi di costruire un nuovo umanesimo che rimetta al centro del dibattito politico e culturale un nuovo patto fra società e individuo, si viene derisi.
"Il XX secolo è stato il tempo delle utopie realizzate nelle ideologie che hanno segnato nell'orrore la nostra storia – dice Giampaolo Rossi -. Come può essere accaduta una così grandiosa smentita dei presupposti moderni, razionali e progressisti sui quali il '900 aveva iniziato la sua corsa? La grande politica dovrebbe iniziare a interrogarsi sull'esito complessivo di un secolo terrificante".
Questa sorta di miopia storica ha trovato, recentemente, un titolo emblematico: "Il passato è una terra straniera", un romanzo di Gianrico Carofiglio, premio Bancarella nel 2005, tradotto in un film che è stato proposto in concorso al Festival del cinema di Roma. Diretto da Daniele Vicari racconta l'eterna tragedia dell'uomo che non riesce a perdonare sè stesso.
"Per passato s'intende qui l'angoscia esistenziale di molti giovani, trascinati anche loro malgrado verso un abisso di cui non si conosce il punto di caduta, ma il cui punto d'arrivo è chiaramente visibile", ha scritto una fan di Carofiglio in uno dei tanti blog della rete. "Una discesa agli inferi, certo, ma vissuta con una specie di stupore soffocato, con una lucidità dolorosa ma assurdamente inconsapevole, cui non si può fare a meno di partecipare con trepidazione", le ha fatto eco un'altra blogger. Il titolo, spiega lo stesso Carofiglio, è la citazione delle parole di un romanzo di Hartley. ""Il passato è una terra straniera, le cose accadono in modo diverso da qua". Si tratta esattamente del senso racchiuso nella storia che ho voluto raccontare", ha detto lo scrittore.
"Ma il passato non è una terra straniera – dice Giampaolo Rossi -. In ballo c'è il concetto stesso di memoria, oggi tanto più attuale proprio perché la grande rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo tende ad appiattire il senso del divenire storico. Immersi in una rete informazionale che condiziona sempre più la nostra vita quotidiana tendiamo a vivere in un eterno presente in cui conoscenza ed informazione diventano una continua attualità. E ripensare al XX secolo significa ripensare anche al rischio di una tecnica che svincolata dai bisogni dell'uomo, si è dimostrata potenza livellatrice e nucleo ultimo del nichilismo".
Giovanni Paolo II, nella Fides et Ratio, diceva: "Questo nichilismo trova in qualche modo una conferma nella terribile esperienza del male che ha segnato la nostra epoca. Dinanzi alla drammaticità di questa esperienza, l'ottimismo razionalista che vedeva nella storia l'avanzata vittoriosa della ragione, fonte di felicità e di libertà, non ha resistito, al punto che una delle maggiori minacce, in questa fine di secolo, è la tentazione della disperazione".
La caratteristica essenziale dell'età moderna rimane il suo carattere plurale, multiforme, contraddittorio, del quale ogni cultura deve tener conto. Ma niente avrebbe senso se non ci ricordassimo che il primo dovere della politica è proprio quello di combattere la tentazione della disperazione, per dirla con Giovanni Paolo II, che il Novecento ci ha pesantemente lasciato in eredità. Lo ha detto recentemente anche il Cardinale Bagnasco: "L'Italia troppo spesso è raccontata attraverso una sorta di pedagogia della catastrofe che non corrisponde alla realtà".
Tentazione della disperazione, da una parte, e rimozione della memoria, dall'altra. "Una grande politica non deve limitarsi a usare la memoria ma a riconoscere che la memoria è spazio di libertà – dice Giampaolo Rossi -. Penso ad una politica che assuma su di sé la prospettiva di un nuovo umanesimo, in cui l'uomo non sia misura di se stesso (come nell'umanesimo ateo che pretendeva di fondare l'uomo nuovo, positivo, emancipato,) ma inserito in una dimensione di identità e memoria capace di dare senso alle sfide della modernità, attraverso il tema della libertà e dei nuovi diritti".
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