di Andrea Piersanti
Uno scontro fra visioni diverse del paese è stato messo in scena per la consegna dei premi David di Donatello. C’erano i “centoautori”, c’era il nuovo astro Elio Germano, c’erano, ovviamente, i politici a fare la passerella, e c’erano i vincitori dei premi.
I “centoautori”, rappresentati da Michele Placido, pubblicamente e lagnosamente, hanno chiesto più soldi per fare cinema. “Ma è paradossale!”, ha commentato dietro le quinte Daniele Vicari (di sinistra ma fuori dal coro), vincitore per il migliore documentario dell’anno con “Il mio paese” della Vivofilm. “Ci si interroga su come si fanno i film, e cioè con quali soldi, e non ci si domanda mai che film si fanno. Noi dobbiamo parlare a tutti. Fare film che sappiano dire qualcosa alla gente”.
È quello che è successo con Giuseppe Tornatore. “La sconosciuta” ha stravinto ai David portandosi a casa, tra gli altri, anche la doppietta delle grandi occasioni: il premio come miglior film e come migliore regista. “La sconosciuta” era stato presentato durante la prima edizione della Festa del Cinema di Roma. L’accoglienza era stata tiepida. Ma Tornatore c’è abituato e aveva sorriso. L’establishment politico e culturale del cinema italiano, in realtà, non riesce a perdonargli di avere avuto successo (e un Oscar) con storie che parlano ai sentimenti e al cuore del pubblico.
Nel Paese dei David, il focolare del cinema italiano che Gian Luigi Rondi, come una vestale, accudisce e tiene acceso da sempre, troppo spesso infatti, nonostante Rondi, si respira aria di conformismo. Come migliore attore dell’anno è stato premiato Elio Germano, la rivelazione di “Mio fratello è figlio unico” che è stato in grado di oscurare persino l’idolo di tutte le ragazzine, Riccardo Scamarcio. È salito sul palco con la baldanza ormonale dei giovanissimi e, subito, ha inveito contro la televisione. “Basta con questa sudditanza del cinema nei confronti della tv”, ha urlato nel microfono mentre la folla (soprattutto femminile) ululava il proprio consenso. In platea c’erano, un po' perplessi, anche Giancarlo Leone di Raicinema e Giampaolo Letta di Medusa, gli unici in Italia che, con De Laurentis, si impegnano nella produzione e nella distribuzione del cinema italiano.
Alla fine della festa, però, il dubbio rimane. Che film facciamo, si domanda Vicari. Che paese raccontiamo? Nonostante il banale conformismo del giovane Germano, nonostante la rituale e imbarazzante passerella dei politici sul palco, nonostante l’insistita richiesta di assistenzialismo statale da parte dei “centoautori”, dai David di quest’anno se ne esce consolati.
Non c’è nichilismo né qualunquismo, per esempio, ne “La sconosciuta” di Tornatore. I valori, quelli veri, quelli in grado di tenere in piedi un paese, ci sono tutti. La solidarietà, la giustizia, l’amore per il prossimo. Anche quando il mondo è pieno di cose orrende e di delitti innominabili. La stessa schiettezza che si trova nel “Mio paese” di Vicari. Una nazione, la nostra, che ama sé stessa e che vuole un futuro migliore.
Se i politici, fra una passerella e l’altra, trovassero il tempo per occuparsene.
pubblicato su Il Giornale il 17 giugno 2007
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