Francesco Bolzoni, critico cinematografico del quotidiano “Avvenire” è stato per molti anni anche la firma di punta della “Rivista del cinematografo”. L’ho conosciuto quando io ero ancora un ragazzo con molti capelli e molte e confuse idee e lui, invece, era già un critico affermato ed esperto. Eravamo a Venezia, a una delle prime Mostre del Cinema che ero stato chiamato a seguire per conto dell’Ente dello Spettacolo. Gli chiesi la cortesia di dedicarmi qualche minuto. Rinunciò alla proiezione mattutina di un film per parlarmi. Con un sorriso che gli saliva spontaneamente negli occhi, ti guardava dritto in faccia, si accendeva una sigaretta e iniziava a parlare.
Ricordo bene i miei sentimenti di allora: fin da subito provai il desiderio ingordo di non interromperlo e di stare ad ascoltarlo per ore. Rimanemmo a lungo sotto il sole e la sua agenda delle proiezioni quotidiane ne fu stravolta. Ascoltarlo era un piacere, una soddisfazione per l’animo assetato di un ragazzo che si stava avvicinando con qualche perplessità al complesso mondo del cinema. Pranzammo insieme e alla fine mi salutò con la promessa di darmi una mano. La sua amicizia, da quel momento, non venne mai meno. Il suo approccio critico al fenomeno cinematografico nazionale e internazionale è stato sempre caratterizzato da un’assoluta libertà di giudizio. Iscritto di diritto nel ristretto club dei critici cattolici, è stato un maestro di originalità di pensiero e un nemico naturale della omologazione delle idee.
Dopo alcuni anni passati insieme, gomito a gomito, all’Ente dello Spettacolo, ebbi un’idea che fu proprio la sua autorevole libertà ad ispirarmi. Decisi di convocare un inedito comitato scientifico per individuare la linea editoriale della nuova “Rivista del Cinematografo”. Ne fecero parte persone che erano molto diverse fra di loro, per estrazione e cultura, ma che erano in sintonia proprio per la loro spiccata autonomia intellettuale e critica. Erano Lietta Tornabuoni, la leggendaria giornalista de “La Stampa” di Torino, Fernaldo Di Giammatteo, direttore e animatore della collana di biografie “Castoro cinema”, laico e curioso (ricordo ancora le infinite discussioni su alcuni aspetti della cultura cattolica che lo avevano affascinato), Claudio Siniscalchi, docente di cinema della Lumsa, autore di saggi brillanti (fra gli altri “Cristo al cinema”, “La new age cinematografica”, ecc.) e inventore del concept del primo festival cinematografico del mondo organizzato insieme con il Vaticano, il “Tertio Millennio”. In questo gruppo ovviamente spiccava per la sua partecipazione mai banale alle discussioni proprio Francesco Bolzoni. I suoi interventi, nelle molte discussioni fatte insieme, non erano mai prolissi. Piuttosto preferiva l’affondo pungente, l’annotazione veloce, il sorriso sornione di una cosa non detta.
Con la sua morte sono stato costretto a ripensare a quel periodo e rimpiango di non aver mai pensato di registrare quelle stranissime riunioni di redazioni. Erano un fuoco di artificio di idee e di stimoli. Per molti anni Bolzoni è stato anche il vero animatore della Giuria del Premio “La Navicella – Sergio Trasatti” alla Mostra del Cinema di Venezia. Ci rivolgevamo quasi naturalmente a lui, alla fine, per la sintesi e la chiosa sulla decisione finale del regista da premiare per un film “attento ai valori umani e spirituali e corretto nel linguaggio”. Sono state proprie le sue battaglie a costringerci ad assegnare, a volte, alcuni premi inaspettati e poco prevedibili. Bolzoni mi è stato sempre a fianco, mentre crescevo professionalmente, con una lealtà rocciosa e con una generosità intellettuale rara da trovare nel mondo della critica cinematografica. Il luogo comune infatti è che la maggior parte dei critici non abbiano molte idee e che preferiscano conservare e proteggere per i propri articoli le poche illuminazioni sulle quali riescono a mettere le mani. Francesco, invece, non era così. Aveva tante idee da riempire gli scaffali e amava condividerle spontaneamente con le persone che gli stavano intorno. Ricordo ancora molto bene quella mattina a Venezia, la mia prima riunione con Bolzoni. Ci sedemmo nel giardino di uno dei tanti albergucci del Lido, mentre intorno a noi si agitavano troupe televisive giapponesi, neanche fossimo in un film di Fellini. Gli chiesi aiuto e qualche consiglio. E lui cominciò a parlare. E a parlare. Con quel sorriso che gli brillava negli occhi e che, per fortuna, ora è difficilissimo da scordare. Mi rimane il desiderio intimo di ascoltarlo ancora. E Il rimpianto, tutto sommato, di non averlo poi ascoltato quanto avrei dovuto. Adesso che, inaspettatamente, vengo colto impreparato dalla notizia della sua morte (come se stessi ancora aspettando il momento giusto per elaborare un nuovo progetto da fare insieme con lui) con un nodo in gola vorrei dirgli almeno grazie.
Nessun commento:
Posta un commento