Comunicatore o testimone di Cristo? Di Giovanni Paolo II non si sono considerati che i “gesti”, obliterando le parole, la dottrina, e mettendo a riposo le generose speranze, dice il Cardinale Mauro Piacenza.
Grande comunicatore o testimone della speranza della Resurrezione? Vittima del sistema dei mass media o protagonista della comunicazione dei valori della vita? Nel fine settimana dedicato a Giovanni Paolo II, è bene tornare ad analizzare una delle caratteristiche del suo Pontificato che più hanno impressionato i media di tutto il mondo: la sua straordinaria capacità di comunicare. Nella vulgata giornalistica, questo carisma derivava direttamente dalle sue passate esperienze teatrali e dall’amore per ogni forma di spettacolo. Al momento della sua morte, quando il Collegio cardinalizio indicò il suo successore, non furono pochi coloro che espressero preoccupazioni per il gap comunicativo che si sarebbe potuto scavare fra un Pontificato e l’altro. A dispetto di questo futile pessimismo, invece la Chiesa continua ad essere vitale ed amata in tutto il mondo. Come e più di prima. Nonostante il diverso carisma comunicativo di Benedetto XVI. E allora? Come si concilia questa realtà con le analisi di coloro che preferirono raccontare l’avventura pastorale di Giovanni Paolo II come se il Papa fosse una rockstar alle prese con paparazzi e telecamere?
“Non c’era trucco nella sua comunicazione. C’era invece la forza dirompente della Buona Novella. Dio ci ha creato per essere felici e santi. Per essere santi e felici. È tutto qui. Ma non è poco. E, soprattutto, non c’è l’ombra di una contraddizione. Santi e felici. Felici e santi”, dice Wanda Poltawaska, una grande amica di Giovanni Paolo II. Per recuperare la giusta prospettiva, è opportuno rileggere anche la severa analisi del Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, pubblicata a suo tempo sull’agenzia Fides diretta da Luca De Mata.
“I grandi media, con gli anni, hanno rimproverato a Giovanni Paolo II, questo Pontefice così cordiale, umanamente simpatico, anticonformista nell’atteggiarsi pubblico, non l’innovatore ma il restauratore. Quasi esistesse, se non doppiezza, una contraddizione fra l’immagine “moderna” e la dottrina non tanto antica quanto “risaputa”; fra il gesto sorprendente e le parole, catechistiche. Tra i media è stato ripetuto il luogo comune di un Papa “mai tanto applaudito e così poco obbedito”; non si è persa occasione di far notare come ai “successi” degli eventi pubblici che Giovanni Paolo II ha provocato non sia seguita una risposta profonda nelle masse che attirava. Alla fin fine, nella vulgata corrente, di Giovanni Paolo II non si sono considerati che i “gesti”, obliterando le parole, la dottrina, e mettendo a riposo le generose speranze. Ma sarebbe un equivoco, e assai grave. Sarebbe una sorta di manipolazione. Certo, nel pontificato di Giovanni Paolo II v’è stata un’impressionante, e grandiosa, dimensione pubblica della fede; ma vorrei ricordare che essa nasce non da un senso spiccato per “l’evento mediatico”, ma dalla sofferta esperienza, direi dalle lotte di Karol Wojtyla sacerdote, vescovo, cardinale di Cracovia”. Un altro aspetto da riconsiderare è quello della novità che l’attività pastorale di Wojtyla avrebbe impresso alla macchina della comunicazione della Santa Sede. Secondo uno che di comunicazione se ne intende, il giornalista Bruno Vespa: “probabilmente, anche sotto l’aspetto comunicativo, non ci sarebbe stato Giovanni Paolo II se non ci fosse stato Giovanni Paolo I, il primo Papa ad usare la prima persona singolare, e Paolo VI, e Giovanni XXIII, che invitò i fedeli a portare la sua carezza ai figli, e Pio XII, uscito dal Vaticano per andare a consolare i romani martoriati dai bombardamenti”. Una dimensione storica tanto più attuale oggi, in una fase in cui si tende ad avere memoria breve e a farsi impressionare dall’evento dell’oggi, a scordare ciò che è successo appena ieri e a sottovalutare il domani. Ma quale lezione ha lasciato Giovanni Paolo II agli operatori della comunicazione sociale? “Il Santo Padre teneva moltissimo alla famiglia come fonte della felicità e della santità dell’uomo – ricorda la Poltawaska -. La persona umana è stata creata per la salvezza e la pienezza del bene. È solo questo il segreto della forza travolgente della sua comunicazione. Lui ama veramente il prossimo. Ogni persona è trattata dal Santo Padre come una persona speciale. Questa sua attitudine verso il prossimo è quella che, alla fine, i mass media non hanno potuto fare a meno di registrare. Giovanni Paolo II non dava importanza ai mass media se non in quanto mezzi che gli permettevano di raggiungere le singole persone, il singolo figlio di Dio. Ma questo è anche ciò che il Santo Padre rimprovera ai giornalisti. Nell’ultima processione del Corpus Domini da lui presieduta a Cracovia prima di diventare Papa, all’ultima stazione accusò i giornalisti di non collaborare al processo di evangelizzazione. Lo scandalismo e il catastrofismo contribuiscono a creare nel pubblico un clima di sfiducia verso il proprio avvenire. Un sentimento negativo che è contrario allo spirito di speranza che invece è tipico della Buona Novella del Nuovo Testamento. “La verità è sempre umile”, diceva. Voleva ricordarci che si deve imparare a parlare con Dio. Fermiamoci, ci diceva, Dio parla in silenzio. Il Santo Padre era una persona di una fede così profonda che è difficile da immaginare. Se oggi viene ancora ricordato come un grande comunicatore è perché aveva così tanto da comunicare. A tutti”.
Nessun commento:
Posta un commento