Wanda Poltawska, la grande amica di Giovanni Paolo II:
“La verità è sempre umile, diceva”
“Rimane la forza religiosa del suo sguardo”.
“Ha sempre avuto l’idea di avere tante persone da amare e così poco tempo per farlo”.
“Ho frequentato il Santo Padre per più di cinquant’anni”.
Wanda Poltawska, 90 anni, ha uno sguardo intenso. È stata una grande amica di Karol Wojtyla e ha lavorato a lungo con lui in Polonia, prima che diventasse Papa.
“Sono una psichiatra e, come medico, ho collaborato con convinzione ai tanti centri di ascolto per giovani coppie della diocesi di Cracovia che lui aveva allestito. L’ho ascoltato ogni giorno, da allora. Lui ha sempre voluto, prima di tutto, salvare la santità dell’amore umano. Ha sempre voluto mostrare il progetto d’amore di Dio per l’uomo. Il Santo Padre ne è sempre stato sicuro in tutti questi anni: Dio ha creato l’uomo per la felicità e per la santità”.
Come nasce il carisma di Wojtyla?
“Il primo libro del giovane Karol Wojtyla era dedicato al tema dell’amore e della responsabilità”.
Si tratta di “Strade d’amore”, pubblicato in Italia, per la prima volta nel 2002.
“Descrisse in quelle pagine la grandiosità e l’infinita generosità del progetto di Dio. Nel suo secondo libro si occupò invece di chi deve avere e di chi deve dare quell’amore. Sono i figli di Dio. Noi siamo tutti figli di Dio. È questo il motivo per il quale il Santo Padre era così interessato alla difesa della vita umana. Una volta mi disse che tutti i problemi si possono risolvere pensando alla genealogia divina. Siamo tutti figli di Dio. Il Santo Padre credeva veramente che ognuno di noi sia figlio di Dio. Non una creatura di Dio, come gli animali, ma un vero e proprio figlio di Dio che, quindi, è erede ed è amato come solo un figlio può essere amato. Il Santo Padre voleva che la gente capisse e credesse in questo perché un tale concetto della persona umana implica il dovere di vivere in un modo speciale. Si è figli di Dio e, come dicono i francesi, noblesse oblige”.
Perché tutti rimanevano colpiti dal suo sguardo?
“Quando si era insieme con il Santo Padre si provava una profonda commozione perché ci si sentiva guardati e capiti. Nell’intimo. Lo sguardo del Santo Padre era quello di una persona che era in grado di vedere le tracce genealogiche della nostra ascendenza divina. Era questo che guardava. Era questo che amava in noi. Il mio lavoro di psichiatra ebbe una svolta quando Mons. Wojtyla mi fece riflettere su questa verità. Questo infatti è ciò che veramente può aiutare la gente. Il Santo Padre era convinto che la persona umana sia sempre in fieri e che, quindi, possa svilupparsi per compiere quel progetto di felicità e di santità che Dio ha creato per tutti i suoi figli”.
Giovanni Paolo II si è sempre interessato alla famiglia. In un epoca di confusione sul tema, questa sua determinazione fa ancora più impressione.
“Lo sviluppo di un individuo nasce nella propria famiglia. Se i genitori indirizzano male questo sviluppo, l’uomo passa poi il resto della vita nell’infelicità e nel tentativo di raddrizzare ciò che è stato fatto storto. Il Santo Padre teneva moltissimo alla famiglia come fonte della felicità e della santità dell’uomo. La persona umana è stata creata per la salvezza e la pienezza del bene”.
Di lui hanno detto che è stato un grande comunicatore.
“Non c’era trucco nella sua comunicazione. C’era invece la forza dirompente della Buona Novella. Dio ci ha creato per essere felici e santi. Per essere santi e felici. È tutto qui. Ma non è poco. E, soprattutto, non c’è l’ombra di una contraddizione. Santi e felici. Felici e santi. Era solo questo il segreto della forza travolgente della sua comunicazione. Lui amava veramente il prossimo. Ogni persona è stata trattata dal Santo Padre come una persona speciale. Questa sua attitudine verso il prossimo era quella che, alla fine, i mass media non hanno potuto fare a meno di registrare. Il suo rispetto per il prossimo è sempre stata la molla di tutti gli incontri che ebbe da vescovo e, dopo, da Papa a Roma. Si parla tanto di mezzi di comunicazione di massa ma ci si sofferma poco sul fatto che l’arma di comunicazione più forte della Chiesa contemporanea sia ancora quella di duemila anni fa: l’omelia. Il contatto diretto con il prossimo e la forza della parola. Sono stati questi gli strumenti vincenti della comunicazione di Giovanni Paolo II. E lo saranno sempre di più per la Chiesa del Terzo Millennio”.
Il suo rapporto con i mass media?
“Il Papa non è stato ripreso dai mass media, non ha avuto un atteggiamento passivo nei confronti di telecamere e microfoni. Sapendo benissimo cosa dire, e perché, è stato lui ad usare i mezzi della comunicazione per raggiungere il prossimo in ogni angolo del mondo”.
Una comunicazione fortemente caratterizzata dal fatto religioso.
“La dimensione globale della comunicazione del suo pontificato ha avuto un significato teologico ed era riconducibile alla vocazione missionaria della Chiesa. Il Santo Padre ha sempre rivolto il suo messaggio a tutti, credenti e non, cattolici e non. Siamo tutti figli di Dio, ha sempre detto Giovanni Paolo II. Tutti, anche i non battezzati in Cristo”.
Come agiva Wojtyla in Polonia, sotto il comunismo?
“Era impossibile organizzare incontri di massa. Per questo motivo le occasioni di udienza con il Vescovo erano costruite in luoghi diversi dal vescovato ed erano dedicate di volta in volta a gruppi professionali diversi fra di loro: medici, architetti, giornalisti, ecc. Ognuno di questi incontri era preparato con cura per sfruttare nel migliore dei modi il poco tempo a disposizione. Una o due persone preparavano delle schede che il vescovo leggeva con scrupolo. Al momento dell’incontro quindi scattava sempre la molla della sorpresa: i professionisti erano sempre interpellati nello specifico della loro attività”.
Che tipo di Vescovo era Wojtyla?
“Il Santo Padre, anche quando era vescovo, ha sempre evitato l’errore di un insegnamento calato dall’alto. Al contrario, entrando in contatto con la realtà, ha sempre trovato il modo per una comunicazione diretta con i suoi interlocutori. È il metodo che poi ha usato anche a Roma e nei suoi viaggi. È sempre stato lui a scendere in mezzo alla gente e non ha mai aspettato che fossero gli altri a salire da lui. È il motivo per cui ha fatto tanti viaggi. Era lo stesso anche in Polonia. Ha sempre avuto l’idea di avere tante persone da amare e così poco tempo per farlo. Quando era vescovo, gli capitava spesso di presiedere la celebrazione eucaristica in tre città molto distanti fra di loro. Durante il viaggio, poi, ne approfittava per scrivere e per leggere”.
Come faceva a vedere tante persone? La sua agenda è sempre stata frenetica e convulsa.
“Le persone che vedeva erano sempre molto diverse fra di loro. Dalle suore di Madre Teresa ai diplomatici dei paesi arabi. Lui, prima di ogni incontro, pregava per la persona che stava per incontrare. Lo faceva sempre. Ogni volta. Quando poi si aprivano le porte e i visitatori entravano al suo cospetto, scattava subito la molla del contatto. È questo uno dei motivi dello straordinario carisma che si respirava anche durante gli incontri di massa, soprattutto con i giovani. Il Santo Padre, anche nelle assolate pianure piene di centinaia di migliaia di persone, cercava sempre il contatto con la singola persona. Anche quando aveva di fronte un milione di persone, parlava sempre in modo che ogni singolo sentisse quelle parole come dirette a lui personalmente, a lui come persone umana e figlio di Dio. È un sentimento di amore verso il fratello che la gente riusciva a percepire e che provocava commozione. Stava in questo atteggiamento la genialità nell’uso dei mass media. Giovanni Paolo II non dava importanza ai mass media se non in quanto mezzi che gli permettevano di raggiungere le singole persone, il singolo figlio di Dio”.
Nell’ultima processione del Corpus Domini da lui presieduta a Cracovia prima di diventare Papa, all’ultima stazione accusò i giornalisti di non collaborare al processo di evangelizzazione.
“Lo scandalismo e il catastrofismo contribuiscono a creare nel pubblico un clima di sfiducia verso il proprio avvenire. Un sentimento negativo che è contrario allo spirito di speranza che invece è tipico della Buona Novella del Nuovo Testamento”.
Ricorda la prima volta che lo incontrò dopo la sua elezione al Soglio Pontificio?
“Quando andai a Roma la prima volta ebbi una fortissima impressione. Dissi a mio marito che sembrava una farfalla che aveva finalmente compiuto il proprio processo di sviluppo e che poteva finalmente volare. Da allora non ha mai smesso di volare. Per annunciare la nostra felicità e per indicarci la strada per la santità. Ma nonostante la bellezza del suo volo, non abbiamo mai smesso di sentirlo vicino in tutti questi anni. “La verità è sempre umile”, diceva. Voleva ricordarci che si deve imparare a parlare con Dio. Fermiamoci, ci diceva, Dio parla in silenzio. Il Santo Padre era una persona di una fede così profonda che è difficile da immaginare. Se ancora oggi viene considerato un grande comunicatore è perché aveva così tanto da comunicare. A tutti”.
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