di Andrea Piersanti
"Second Life" è un bluff. Nel suo primo tour nel mondo virtuale creato sul web dalla Linden Lab, Michael Donnelly, capo mondiale del marketing interattivo della Coca Cola, ha detto di sentirsi come nell'albergo vuoto del film "Shining" di Stanley Kubrick. Lo racconta il giornalista Frank Rose, in un lungo articolo su "Wired" di agosto intitolato "Come Madison Avenue sta sprecando soldi nel deserto di Second Life".
"Second Life" è un bluff. Nel suo primo tour nel mondo virtuale creato sul web dalla Linden Lab, Michael Donnelly, capo mondiale del marketing interattivo della Coca Cola, ha detto di sentirsi come nell'albergo vuoto del film "Shining" di Stanley Kubrick. Lo racconta il giornalista Frank Rose, in un lungo articolo su "Wired" di agosto intitolato "Come Madison Avenue sta sprecando soldi nel deserto di Second Life".
Il mondo virtuale della "Seconda Vita" è disabitato ma, nonostante ciò, dal 2003 ha attirato milioni di dollari di investimenti pubblicitari, dalla stessa Coca Cola alla Nike. Secondo "Wired", uno delle fonti più autorevoli in fatto di tecnologie, dei nove milioni di iscritti ufficiali, solo 300.000 frequentano ogni tanto il mondo degli "avatar" (la rappresentazione digitale di noi stessi) ma lo fanno per visitare sex shop o discoteche e il sistema non riesce a gestirne più di settanta per volta. Un vero fallimento.
Sui media, invece, l'eterna caccia alla novità aveva gonfiato il fenomeno. Il mondo della pubblicità, preoccupato per la crescente inefficacia del tradizionale spot tv, aveva convinto i propri clienti ad investire nel mondo virtuale di "Second Life". La Reuters vi aveva addirittura aperto una propria agenzia. I costi di questa vita virtuale non sono neanche bassi. Una presentazione sulla piazza digitale costa 10mila dollari e per un'isola attrezzata con grattacieli si può spendere anche mezzo milione di dollari all'anno. Soldi veri, mica finti. Per entrare su" Second Life", infatti, bisogna esibire la propria carta di credito.
La notizia, tutto sommato, è positiva. Alcuni dirigenti delle grandi agenzie pubblicitarie passeranno un brutto quarto d'ora. Ma chi se ne importa. È bello infatti che sia finita l'illusione di potersi costruire una seconda vita di cartapesta digitale. La negazione della realtà è una forma pericolosa di nevrosi che può spesso tradursi in una psicosi vera e propria. La grande quantità di ansiolitici e di antidepressivi che vengono consumati nel mondo sono il sintomo di una gigantesca insoddisfazione collettiva. Ma è bello scoprire che la soluzione non possa essere una finzione.
C'è da rifletterci sopra. In molti avevano dubitato di questa ultima moda tecnologica. "The Guardian" aveva dato voce pubblicamente a queste perplessità già all'inizio dell'anno. Adesso arriva la secca conferma di "Wired". "Second life" non esiste e noi possiamo tirare un sospiro di sollievo. Il bombardamento di informazioni e di stress che ci arriva dal mondo reale è già a livelli di guardia. Ci mancava solo di dover trovare il tempo per un secondo mondo virtuale.
Il vero motivo di sollievo, però, è un altro. L'esplosione del fenomeno di "Second Life" sembrava una sfilata del gay pride. Tutti travestiti con piume di struzzo a rivendicare il diritto ad una vita normale. La vita, quella vera, è già qui. Non c'è bisogno di mascherarsi. È positivo quindi che la "cage aux folles" digitale di "Second Life" non abbia avuto successo. Nella confusione dei generi ci mancava solo il digitale.
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