Alla Mostra del Cinema di Venezia hanno proiettato "La rabbia" di Pasolini e Guareschi ma, per far posto a frammenti inediti di Pasolini, hanno tagliato le scene firmate da Guareschi. E' successo il finimondo: sono volati gli stracci e le polemiche hanno inondato i giornali. Solo pochi giorni prima, al Meeting di Rimini, centinaia di migliaia di persone avevano fatto la fila per vedere la mostra che il popolo di Cielle ha voluto dedicare a Guareschi, in occasione del centenario della sua nascita. Il titolo? "Non muoio neanche se mi ammazzano". Di seguito vi propongo il testo di presentazione della mostra. (a.p.)
Dal catologo del Meeting di Rimini
Cento anni fa, nella Bassa Parmense, il I maggio del 1908, nasceva Giovannino Guareschi, l’inventore del Mondo Piccolo di don Camillo e Peppone.
Con una periodicità pressoché stagionale, le televisioni pubbliche e private ripropongono da anni i film del ciclo di Don Camillo, liberamente (forse anche troppo) ispirati ai racconti di Giovannino Guareschi. Il favore presso il pubblico, o -se si preferisce- l'audience, è sempre di grado elevato, e ciò ha consentito da una parte il perpetuarsi della popolarità delle "maschere" di Don Camillo e Peppone a più generazioni, ma non sempre ha reso pienamente merito al loro creatore, autore italiano tra i più letti e conosciuti anche fuori dal nostro Paese.
Il doppio anniversario di Guareschi, della nascita e della morte, che avvenne a Cervia quarant’anni fa, nel luglio del 1968, può e deve essere l’occasione per riscoprire Guareschi, e con lui il suo mondo letterario, un universo capace di mostrare agli uomini quanto siano belli e quanto grande sia il loro destino: basta solo che abbiano l’umiltà di aprire la loro anima al soffio eterno del Creatore. Quel soffio che corre lungo il Grande Fiume e pulisce l’aria per riempirla di invenzioni impastate di terra e di cielo come raramente capita di trovarne nella letteratura contemporanea.
La Mostra vuole guidare alla scoperta di questo scrittore, attraverso la sua vita e la sua opera, dalla quale traspare una religiosità profonda, che affonda le radici nella tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale, dall’internamento in un lager nazista cui fu sottoposto insieme a tutti quegli ufficiali italiani che, come lui, avevano rifiutato di servire la Repubblica Sociale di Mussolini.
In questo senso è significativa la testimonianza di don Onorio Canepa, sacerdote genovese, che ebbe a dire di Giovannino: "Fu mio compagno di prigionia nei lager nazisti. In quei giorni sventurati seppe fare più lui da solo per dieci, ventimila e più internati, che tutti noi sessantaquattro cappellani messi insieme..." Davanti all'angoscia di chi vedeva il mondo cadergli addosso, di chi lamentava che tutto era finito, morto, Guareschi affermava: no, non tutto. Dio non è morto. Lontano sia dal pessimismo cupo che dall'ottimismo stolido, la sua posizione era quella del realismo cristiano, conscio del dramma che scaturisce dalla presenza del male e del peccato nel mondo, ma certo della speranza che Cristo ha vinto, che non è morto, poiché è risorto. Con una semplicità assolutamente priva di retorica, che gli faceva scrivere, sul settimanale Candido di cui era direttore negli anni '50: "No, non termino dicendo:Dio è con me. Concludo esprimendo l'ardente speranza di essere io con Dio!"
Senza Gesù Cristo non si va nessuna parte: questo è il Vangelo dei semplici, il Vangelo di don Camillo.
Guareschi è certamente un grande scrittore, e nonostante la peculiarità dell'ambientazione delle sue storie, ricche degli umori e dei sapori della sua terra, è scrittore di respiro europeo, apprezzato e compreso come pochissimi altri nostri autori
C'è un ulteriore Guareschi, infine, da riscoprire: è lo scrittore che -forse più di ogni altro- ha rivolto la propria attenzione alla famiglia, tanto che si può parlare di Giovannino sia come di uno scrittore per la famiglia, ma anche di scrittore della famiglia: In tutta la sua opera c'è grande attenzione, rispetto, amore, per il rapporto tra genitori e figli, tra uomo e donna innamorati, persino tra nonni e nipoti. La casa, la terra, l'amore per la propria storia, il ricordo dei propri morti e la speranza per i propri figli sono la spina dorsale di una civiltà che Guareschi amava, cui apparteneva, che ci ha descritto con realismo e con tenerezza, e che suscita nei lettori il desiderio di preservarne il senso.
Con una periodicità pressoché stagionale, le televisioni pubbliche e private ripropongono da anni i film del ciclo di Don Camillo, liberamente (forse anche troppo) ispirati ai racconti di Giovannino Guareschi. Il favore presso il pubblico, o -se si preferisce- l'audience, è sempre di grado elevato, e ciò ha consentito da una parte il perpetuarsi della popolarità delle "maschere" di Don Camillo e Peppone a più generazioni, ma non sempre ha reso pienamente merito al loro creatore, autore italiano tra i più letti e conosciuti anche fuori dal nostro Paese.
Il doppio anniversario di Guareschi, della nascita e della morte, che avvenne a Cervia quarant’anni fa, nel luglio del 1968, può e deve essere l’occasione per riscoprire Guareschi, e con lui il suo mondo letterario, un universo capace di mostrare agli uomini quanto siano belli e quanto grande sia il loro destino: basta solo che abbiano l’umiltà di aprire la loro anima al soffio eterno del Creatore. Quel soffio che corre lungo il Grande Fiume e pulisce l’aria per riempirla di invenzioni impastate di terra e di cielo come raramente capita di trovarne nella letteratura contemporanea.
La Mostra vuole guidare alla scoperta di questo scrittore, attraverso la sua vita e la sua opera, dalla quale traspare una religiosità profonda, che affonda le radici nella tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale, dall’internamento in un lager nazista cui fu sottoposto insieme a tutti quegli ufficiali italiani che, come lui, avevano rifiutato di servire la Repubblica Sociale di Mussolini.
In questo senso è significativa la testimonianza di don Onorio Canepa, sacerdote genovese, che ebbe a dire di Giovannino: "Fu mio compagno di prigionia nei lager nazisti. In quei giorni sventurati seppe fare più lui da solo per dieci, ventimila e più internati, che tutti noi sessantaquattro cappellani messi insieme..." Davanti all'angoscia di chi vedeva il mondo cadergli addosso, di chi lamentava che tutto era finito, morto, Guareschi affermava: no, non tutto. Dio non è morto. Lontano sia dal pessimismo cupo che dall'ottimismo stolido, la sua posizione era quella del realismo cristiano, conscio del dramma che scaturisce dalla presenza del male e del peccato nel mondo, ma certo della speranza che Cristo ha vinto, che non è morto, poiché è risorto. Con una semplicità assolutamente priva di retorica, che gli faceva scrivere, sul settimanale Candido di cui era direttore negli anni '50: "No, non termino dicendo:Dio è con me. Concludo esprimendo l'ardente speranza di essere io con Dio!"
Senza Gesù Cristo non si va nessuna parte: questo è il Vangelo dei semplici, il Vangelo di don Camillo.
Guareschi è certamente un grande scrittore, e nonostante la peculiarità dell'ambientazione delle sue storie, ricche degli umori e dei sapori della sua terra, è scrittore di respiro europeo, apprezzato e compreso come pochissimi altri nostri autori
C'è un ulteriore Guareschi, infine, da riscoprire: è lo scrittore che -forse più di ogni altro- ha rivolto la propria attenzione alla famiglia, tanto che si può parlare di Giovannino sia come di uno scrittore per la famiglia, ma anche di scrittore della famiglia: In tutta la sua opera c'è grande attenzione, rispetto, amore, per il rapporto tra genitori e figli, tra uomo e donna innamorati, persino tra nonni e nipoti. La casa, la terra, l'amore per la propria storia, il ricordo dei propri morti e la speranza per i propri figli sono la spina dorsale di una civiltà che Guareschi amava, cui apparteneva, che ci ha descritto con realismo e con tenerezza, e che suscita nei lettori il desiderio di preservarne il senso.
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