sabato 16 agosto 2008
sabato 9 agosto 2008
C'è vita (artificiale) nella tv italiana
C’è differenza fra Intelligenza Artificiale e Vita Artificiale. È la stessa differenza che si registra fra il dibattito politico sulla televisione e il sistema televisivo stesso. Da una parte c’è l’Intelligenza Artificiale della discussione politica che “cerca di riprodurre le capacità umane in sistemi che non tengono conto della fisicità del cervello e del corpo e delle interazioni fisiche che gli esseri umani hanno con l’ambiente in cui vivono” (come scrive Domenico Parisi dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR su “Telèma”). Dall’altra c’è la Vita Artificiale del sistema televisivo italiano che “invece usa modelli che riproducono, anche se in modo semplificato, le caratteristiche del cervello, quelle del corpo e quelle dell’ambiente fisico” (sempre Parisi). Tutto qui, ma non è poco. È ovvio che le definizioni di Parisi non sono dedicate all’analisi della televisione italiana. Ma saltano agli occhi alcune analogie. Gli studi per l’Intelligenza Artificiale, nati più di cinquanta anni fa, sono stati coronati da piccoli successi marginali e da un clamoroso fallimento generale. Nonostante i miliardi spesi nella ricerca (impressionante, per esempio, lo stanziamento del governo giapponese del 1980) ancora oggi “non esiste un computer in grado di elencare, sulla base delle immagini che può ricavare dai suoi occhi elettronici, il contenuto di una stanza”, spiega Andrea Paoloni della Fondazione Bordoni. Proprio come alcuni politici di casa nostra. Nonostante tutto, infatti, e anche se sembra impossibile, ancora oggi nel Parlamento si parla di una televisione che non esiste se non nei calcoli politici di alcuni. È veramente come se ci fosse una sorta di blocco mentale che impedisca di elencare il contenuto dei valori e dei bisogni del Paese. È l’Intelligenza Artificiale del dibattito. Per anni si è discusso della necessità di una normativa agile e in grado di gestire lo sviluppo velocissimo del sistema della comunicazione. Proprio come nei laboratori dei ricercatori dove per anni si è lavorato sull’obiettivo principale dell’Intelligenza Artificiale che “è quello di costruire sistemi autonomi in grado di operare in ambienti dinamici e complessi” (Luca Tocchi del Dipartimento di Informatica e Sistemistica de “La Sapienza” di Roma). Scarsissimi sono stati i risultati, in tutti e due i casi. Tutt’altra musica invece nel campo degli studi sulla Vita Artificiale. “Questo approccio, secondo alcuni, è il solo che consentirà di superare alcuni dei limiti più rilevanti del tradizionale approccio simbolico tipico degli studi sull’Intelligenza Artificiale” (sempre Paoloni della Bordoni). È quello che manca al dibattito sulla politica italiana. La capacità di tenere conto dei bisogni delle persone e della loro interazione con il sistema civile e sociale di riferimento. La televisione, ovviamente, non è la vita. Come una vera e propria “Vita Artificiale” però “usa modelli che riproducono, anche se in modo semplificato, le caratteristiche del cervello, quelle del corpo e quelle dell’ambiente fisico”. Pensare di gestire il cambiamento del sistema della comunicazione senza tenere conto delle nuove domande che emergono dal paese reale è come cercare di costringere un computer a far finta di essere umano. Lo hanno bene intuito i cattolici di tutto il mondo che, guidati da Giovanni Paolo II (“Non abbiate paura dei mass media”, ripeteva spesso) e da Benedetto XVI, in questi anni hanno rivoluzionato le regole consolidate della televisione. “Difficilmente Roma potrà dimenticare tutto questo chiasso”, disse ridendo Giovanni Paolo II al milione e più di giovani riunitisi, in mondovisione, a Tor Vergata nell’agosto del Grande Giubileo del 2000. A leggere i commenti intorno alle vicende più banali della televisione italiana, invece, sembra che alcuni politici, già allora durante le Giornate del Giubileo, avessero ovatta nelle orecchie. Che evidentemente non devono essersi più tolti.
venerdì 8 agosto 2008
La comunicazione è come il ...
La pornografia dei mass media
Il ritrovato desiderio di castità
Il rimpianto per la perduta verginità
La comunicazione è come il sesso. Nel rapporto fra un uomo e una donna c’è il primordiale scambio di informazioni della vita. I sentimenti, intanto, che portano due esseri umani ad incontrarsi. E poi, alla fine, lo scambio di informazioni genetiche che producono la notizia più importante della nostra storia: la nascita di un nuovo essere umano, la sconfitta della morte.
Anche la comunicazione è un rapporto sessuale fra individui. Si vive il mestiere giornalistico con una passione che assomiglia moltissimo al desiderio. Il narcisismo soddisfatto di un giornalista di successo è come un orgasmo. E, quando le notizie sono autentiche, si producono fra spettatori e comunicatori delle vere e proprie epifanie, come quando nasce un figlio.
Ma ci sono anche aspetti negativi. Il broadcasting generalizzato di cattiva informazione è lo stupro di una banda di balordi ai danni dello spettatore, compiuto nella indifferenza colpevole dei più. Le emozioni più intime mostrate da rotocalchi e televisioni pomeridiane sono la vera pornografia a basso prezzo del sistema. Un certo modo di investigare e di raccontare la cronaca nera ricorda con fastidiosa evidenza i rapporti sado-maso con vestiti di pelle nera. Il “disastrismo” ricorrente di certe notizie, alla fine, è il contrario dell’epifania. È come se si avessero rapporti sessuali per provocare aborti invece che nuove nascite.
In questi anni ha cominciato a farsi strada uno strisciante e non dichiarato desiderio di castità. L’eccesso di informazione, paradossalmente, ha allontanato il pubblico dall’approfondimento, ha inibito il suo desiderio di capire. La comunicazione, mano a mano che aumentano le fonti strombazzanti, perde di qualità: diventa più superficiale, meno incisiva. Soprattutto diventa meno convinta. E quindi meno convincente.
Oggi quando si leggono i giornali o si vede la televisione (per non parlare di Internet) non si ha più la sensazione di avere un rapporto sessuale soddisfacente. Molta parte dell’informazione moderna è diventata purtroppo simile ad una serie ripetuta di rapporti sbrigativi e risolti alla bellemeglio in angoli irrilevanti della nostra giornata.
Più che la “notizia”, insomma, in Italia è il desiderio di un po’ di quiete, di una ritrovata castità ciò che si annida inconfessato nell’animo dei più.
Rimpiangiamo la nostra perduta verginità di una volta. Quando la nostra capacità di stupirsi, per gioire o per indignarsi, era ancora alta. Come certi incontri emozionanti della nostra adolescenza, quando una carezza timida e tremante poteva farci sognare ad occhi aperti. O quando bastava levare lo sguardo ad un cielo estivo per sentirsi bene.
Ecco cosa rimane dopo un anno di zapping
Affrontare la nuova stagione televisiva in autunno sarà più facile per le famiglie italiane. Preoccupati per la qualità dei programmi che vengono visti anche dai bambini, i genitori da quest’estate possono trovare in libreria “Un anno di zapping”, con 140 schede di analisi critica della programmazione tv. Le schede sono state curate da un team di professionisti coordinati da Armando Fumagalli e da Chiara Toffoletti. Il volume è edito dalle edizioni Magi ed è il risultato del lavoro svolto dall’Osservatorio Media del Moige – Movimento italiano genitori. “La Tv continua ad avere un peso fondamentale nella vita di tutti noi, in quanto importante veicolo di contenuti ed informazioni, condiviso all’interno della famiglia, nei confronti della quale, come tale, ha più responsabilità di una volta – spiega Elisabetta Scala, Responsabile Osservatorio Media del Moige -. Nessun intento censorio, però, e nessun desiderio persecutorio, ma solo il desiderio di arricchire il panorama critico sulla televisione in un’ottica costruttiva e positiva, nella quale il giudizio di noi genitori si propone una finalità fondamentale, quella di una crescita equilibrata dei propri figli, anche con la televisione”. I programmi sono contrassegnati da Conchiglie (fino a 14 per i programmi migliori) e da Bidoncini (fino a tre per quelli da evitare). Fra i promossi con il massimo delle 14 Conchiglie anche programmi di approfondimento come “Report”, “La storia siamo noi” , “Maria Montessori”, “Guerra e Pace”, “Sos Tata” e “Otto e Mezzo”. I tre “bidoncini” della valutazione più negativa sono stati aggiudicati, tra gli altri, a “Grande Fratello 8”, “Ciao Darwin”, “Buona Domenica” e “Gabbia di Matti”. “Abbiamo cercato di sintetizzare il giudizio espresso nelle singole schede in simboli chiari e comunicativi”, dice Armando Fumagalli, curatore del libro, docente di Semiotica e direttore del master in scrittura e produzione per la fiction e il cinema presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Questo libro è la sistematizzazione di un lavoro che il nostro Osservatorio Media porta avanti con successo da 11 anni - racconta Maria Rita Munizzi, Presidente Nazionale del Moige -. Sempre nello spirito del servizio verso i genitori italiani, vuole essere anche uno strumento di dialogo con gli addetti ai lavori”.
L’ultima mela del paese di Melonio
Mi sono svegliato all’improvviso, alle 4 di notte. E tutto mi è sembrato chiaro. L’ultima mela. Nel nostro paese di Melonio è l’ultima mela quella che ci stiamo litigando. Per intenderci, la mela è proprio quella della tradizione, quella dell’Antico Testamento. Dovrò andare a rileggermi il passaggio della Genesi dove si parla della mela, di Eva e di quel deficiente di Adamo.
Sì, dovrò andare a rileggermi tutto. Ma quasi non ce ne sarebbe bisogno. Nel paese di Melonio, dove viviamo, le mele sono tutto. Ogni giorno il dibattito si sviluppa intorno al nuovo modo per aggirare la ragione e cedere alla mela del momento. Denaro, potere, sesso: le mele del nostro paese sono infinite.
Questa notte, però, dopo essermi svegliato, mi sono fermato a pensare. Perché “L’ultima mela”? In che senso “ultima”? Perché ogni giorno ce ne sono di nuove e l’”ultima” è solo la più recente? O piuttosto perché “ultima” significa proprio che non ce ne saranno più? Che ci stiamo litigando e scannando per l’ultima e sciocca mela del nostro sciocco paese di Melonio?
Castelli di sabbia
“Brutto bastardo!”. Era veramente furibonda. “È che hai dimenticato come si costruiscono i castelli di sabbia”, mi urlò dentro le orecchie.
“Ma, senti, ma che c’entra?”, provai a replicare a bassa voce, per non svegliare le bambine che dormivano nella stanza accanto. Non era stato facile farle addormentare.
Lei scoppiò a piangere. Si accasciò sul divano, nascondendosi il viso fra le mani.
“Che palle”, pensai fra di me. Senza volere diedi un’occhiata all’orologio. Lei alzò il viso verso di me. “Come che c’entra?”, mi sibilò in faccia. Sembrava che mi odiasse veramente.
Era ancora bellissima. Una dea. Elegante, alta, magra ma non troppo. Anche se adesso urlava e della sua bellezza non c’era traccia.
Il salotto era un disastro. Lampade rovesciate, divani strappati. Il contenuto dei cassetti era rovesciato in terra. Si vedeva il segno sul muro dove erano stati appesi i quadri. Si distingueva chiaramente, come una sagoma disegnata con il gesso sull’asfalto, il vuoto lasciato dal televisore nella polvere sul mobile.
Camminai verso la finestra, facendo attenzione ai vetri in terra. “Quanto ci vuole alla polizia per arrivare?”, mi chiesi con fastidio.
“I castelli di sabbia. Cazzo. I castelli di sabbia!”, urlò alzando le braccia al cielo. “Un po’ teatrale”, pensai.
Eravamo sposati da dodici anni.
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