C’è differenza fra Intelligenza Artificiale e Vita Artificiale. È la stessa differenza che si registra fra il dibattito politico sulla televisione e il sistema televisivo stesso. Da una parte c’è l’Intelligenza Artificiale della discussione politica che “cerca di riprodurre le capacità umane in sistemi che non tengono conto della fisicità del cervello e del corpo e delle interazioni fisiche che gli esseri umani hanno con l’ambiente in cui vivono” (come scrive Domenico Parisi dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR su “Telèma”). Dall’altra c’è la Vita Artificiale del sistema televisivo italiano che “invece usa modelli che riproducono, anche se in modo semplificato, le caratteristiche del cervello, quelle del corpo e quelle dell’ambiente fisico” (sempre Parisi). Tutto qui, ma non è poco. È ovvio che le definizioni di Parisi non sono dedicate all’analisi della televisione italiana. Ma saltano agli occhi alcune analogie. Gli studi per l’Intelligenza Artificiale, nati più di cinquanta anni fa, sono stati coronati da piccoli successi marginali e da un clamoroso fallimento generale. Nonostante i miliardi spesi nella ricerca (impressionante, per esempio, lo stanziamento del governo giapponese del 1980) ancora oggi “non esiste un computer in grado di elencare, sulla base delle immagini che può ricavare dai suoi occhi elettronici, il contenuto di una stanza”, spiega Andrea Paoloni della Fondazione Bordoni. Proprio come alcuni politici di casa nostra. Nonostante tutto, infatti, e anche se sembra impossibile, ancora oggi nel Parlamento si parla di una televisione che non esiste se non nei calcoli politici di alcuni. È veramente come se ci fosse una sorta di blocco mentale che impedisca di elencare il contenuto dei valori e dei bisogni del Paese. È l’Intelligenza Artificiale del dibattito. Per anni si è discusso della necessità di una normativa agile e in grado di gestire lo sviluppo velocissimo del sistema della comunicazione. Proprio come nei laboratori dei ricercatori dove per anni si è lavorato sull’obiettivo principale dell’Intelligenza Artificiale che “è quello di costruire sistemi autonomi in grado di operare in ambienti dinamici e complessi” (Luca Tocchi del Dipartimento di Informatica e Sistemistica de “La Sapienza” di Roma). Scarsissimi sono stati i risultati, in tutti e due i casi. Tutt’altra musica invece nel campo degli studi sulla Vita Artificiale. “Questo approccio, secondo alcuni, è il solo che consentirà di superare alcuni dei limiti più rilevanti del tradizionale approccio simbolico tipico degli studi sull’Intelligenza Artificiale” (sempre Paoloni della Bordoni). È quello che manca al dibattito sulla politica italiana. La capacità di tenere conto dei bisogni delle persone e della loro interazione con il sistema civile e sociale di riferimento. La televisione, ovviamente, non è la vita. Come una vera e propria “Vita Artificiale” però “usa modelli che riproducono, anche se in modo semplificato, le caratteristiche del cervello, quelle del corpo e quelle dell’ambiente fisico”. Pensare di gestire il cambiamento del sistema della comunicazione senza tenere conto delle nuove domande che emergono dal paese reale è come cercare di costringere un computer a far finta di essere umano. Lo hanno bene intuito i cattolici di tutto il mondo che, guidati da Giovanni Paolo II (“Non abbiate paura dei mass media”, ripeteva spesso) e da Benedetto XVI, in questi anni hanno rivoluzionato le regole consolidate della televisione. “Difficilmente Roma potrà dimenticare tutto questo chiasso”, disse ridendo Giovanni Paolo II al milione e più di giovani riunitisi, in mondovisione, a Tor Vergata nell’agosto del Grande Giubileo del 2000. A leggere i commenti intorno alle vicende più banali della televisione italiana, invece, sembra che alcuni politici, già allora durante le Giornate del Giubileo, avessero ovatta nelle orecchie. Che evidentemente non devono essersi più tolti.
sabato 9 agosto 2008
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