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venerdì 24 giugno 2011
Una distanza giusta
giovedì 2 giugno 2011
Tatanka: uno schiaffo per i poliziotti
martedì 3 maggio 2011
domenica 1 maggio 2011
Giornalisti a San Pietro il 1 maggio
La situazione sulla terrazza di Carlo Magno 30 minuti prima dell'inizio della cerimonia di Beatificazione di Giovanni Paolo II.
GIGANTE!
giovedì 28 aprile 2011
IL GRANDE EQUIVOCO
mercoledì 27 aprile 2011
LA VERITA' E' SEMPRE UMILE
sabato 23 aprile 2011
Nanni Moretti? Un prete mancato.
venerdì 22 aprile 2011
SISTEMA CINEMA PIEMONTE
giovedì 7 aprile 2011
Laboratorio Roma
Pubblicato su Boxoffice
sabato 26 marzo 2011
DOTTOR MORTE
mercoledì 23 marzo 2011
Caos Cinema Italia
P.S.: nel suo piccolo anche questa rubrichetta (“temini” li chiamava il critico cinematografico del Corriere della sera, Giovanni Grazzini) ha suscitato il suo vespaio. Qualcuno si è lamentato. Alcuni con affetto, con garbo e con qualche ragione. Altri invece... Ma di cosa hanno paura?
Pubblicato su Boxoffice
sabato 5 marzo 2011
Francesco Bolzoni, il sorriso del critico
lunedì 28 febbraio 2011
domenica 27 febbraio 2011
E il celibato sfida il mondo
lunedì 7 febbraio 2011
mercoledì 2 febbraio 2011
La vera grinta
Film molto bello, di destra, intimamente e sfacciatamente repubblicano, “Il grinta” dei fratelli Coen ha già conquistato il pubblico Usa: 140 milioni di dollari di incasso ad oggi e dieci nomination agli Oscar, comprese quelle più importanti: miglior film, miglior regia, migliore attore, migliore sceneggiatura, e migliore attrice non protagonista per la splendida interpretazione della quattordicenne Hailee Steinfeld. “Il Grinta”, tratto dal romanzo “True Grit” di Charles Portis (pubblicato in Italia col titolo “Un uomo vero per Mattie Ross”), non ha molto in comune con l’omonimo film interpretato da John Wayne nel 1969. Jeff Bridges, al quale è stato affidato il ruolo del duro Rooster Cogburn che fu di John Wayne (Oscar nel 1970), ha raccontato che “quando i Coen mi dissero che volevano girare Il Grinta, gli ho detto ‘Gee, ma quel film non l’hanno già fatto, perché volete rifarlo?’ e loro mi hanno risposto ‘Non vogliamo fare un remake del film, faremo una nuova versione del romanzo di Charles Portis’. Allora ho letto il libro ed ho capito subito quello che intendevano, perché si trattava proprio di una storia perfetta per un film dei Coen. E visto che non avevano mai fatto un vero western prima, il film sarebbe stato una sorpresa”. “Il grinta” è molto più che una sorpresa: avvincente e avvolgente come un racconto intorno al fuoco, è forse una delle più convincenti e “most broadly entertaining” opere della filmografia dei Coen, come ha scritto anche il “Los Angeles Times”. “Il film non ha i toni dark di “Non è un paese per vecchi” – hanno spiegato i fratelli Coen – e non ci interessava il western con cowboy, cavalli e indiani. Quello che volevamo veramente affrontare è stato il libro di Charles Portis, che ci ha folgorato durante la lettura, dato che è la più completa storia di frontiera. Una sorta di ballata americana dal poetico e talvolta malinconico realismo”. È la storia di una ragazza, Mattie Ross, decisa a vendicare il padre assassinato con l’aiuto di un malandato tutore della legge di frontiera e di un onesto Texas Ranger. “La gente non riesce a credere che una ragazza possa avventurarsi nel bel mezzo del gelido inverno per vendicare la morte del padre, ma è veramente andata così”, si legge nel fulminante incipit del libro. Tutto è narrato in prima persona dalla stessa Mattie e il punto di vista della giovanissima adolescente in un mondo di uomini duri e pronti a tutto è la nota più accattivante del racconto. Un noto autore, George Pelecanos, in un intervista rilasciata nel 1996, spiegò che: “La voce di Mattie, ironica e sicura, è una delle grandi invenzioni della letteratura contemporanea. Io la colloco proprio accanto a quella di Huck Finn e la mia non è un’esagerazione”. Le parole “true grit” sono ormai sinonimo di quell’ostinazione e del coraggio che sorreggono una persona in circostanze complicate, due dei valori più tipici della tradizione americana. Il film si gioca intorno al contrasto fra la incrollabile determinazione di Mattie (“L’assassino di mio padre deve pagare per quello che ha fatto, niente è gratis a questo mondo, tranne la grazia di Dio”) e il supporto che dovrebbe fornirle il cinico e improbabile Rooster, “senza pietà, duro e la paura non entra nei suoi pensieri”, anche se ogni tanto “alza il gomito”, un personaggio che il Los Angeles Time ha definito “primitivo, paleolitico”. Accompagnati dal Texas Ranger LaBoeuf, interpretato da un Matt Damon molto bravo (dice di essersi ispirato a Tom Lee Jones), si imbarcano in un viaggio alla scoperta dell’etica dello spirito della frontiera. L’amicizia e il rispetto che alla fine i due uomini dimostreranno nei confronti della ragazza, dicono molte cose sul desiderio di purificazione della cultura americana. Rimane da chiedersi cosa muove gli Usa di Barack Obama e due autori come i Coen a spingersi oggi, dopo solo due anni di potere gestito dai democratici, verso il territorio mai completamente esplorato dei sentimenti intimi della pancia più schiettamente repubblicana dell’elettorato americano. E sarà divertente leggere le recensioni dei nostri critici più progressisti quando, il prossimo 18 febbraio, il film uscirà anche da noi, in Italia.
venerdì 7 gennaio 2011
Clint Eastwood e lo gnosticismo cinematografico
Una cattiva risposta ad una buona domanda. Il nuovo film diretto da Clint Eastwood, “Hereafter” (“L’aldilà”), uscito nelle sale italiane il 5 gennaio, esplora il mistero della morte con un approccio che suscita più di un motivo di perplessità. Eastwood infatti sembra voler programmaticamente ignorare la dimensione religiosa del più grande interrogativo della nostra vita. La sua chiave di interpretazione è lo gnosticismo. La salvezza raggiunta attraverso un orgoglioso e discutibile percorso di conoscenza è la filosofia che caratterizza ogni azione dei personaggi di questo film. Come la gnosi stessa, si tratta appunto di una cattiva risposta per una buona domanda. Ma non tutti sono d’accordo e il film ha già suscitato più di un entusiasmo nella cultura cosiddetta laica. Paolo Mereghetti del Corriere della Sera si domanda: “Come si può non farsi catturare da un film così diretto ed emozionante, così bello e classico?”. Curzio Maltese de La Repubblica parla addirittura di “capolavoro”. "Il più felice racconto sulla morte mai concepito sullo schermo", scrive. Secondo Mereghetti il film di Eastwood “ha l’ambizione filosofica di sottolineare un’idea della vita che vede nel Caso (con la maiuscola, nel suo articolo) un elemento centrale per orientare o disorientare le fragili azioni umane”. È un’interpretazione generosa che non ci sentiamo di condividere. Il film corale narra le vicende di tre personaggi: una donna che ha avuto un’esperienza di “premorte”, un bambino che non trova consolazione per la scomparsa prematura e tragica del proprio fratello gemello, un adulto (interpretato da Matt Damon) che ha facoltà di medium. Il film eccede in furbizia e cerca la complicità del cuore del pubblico strumentalizzando il dolore della vita: il bambino ha una madre tossicodipendente, la ragazza è stata violentata dal padre e non riesce a legarsi ad un uomo, e così via. Eastwood arriva anche, ed è la parte più scivolosa del film, a suscitare simpatia per l’ambigua attività dei presunti medium che in tutto il mondo speculano sul dolore per la scomparsa di una persona cara. “Ci sono le prove scientifiche”, grida la dottoressa di una clinica svizzera dove si studiano le esperienze di premorte, in un momento non secondario del film. Prodotto da Steven Spielberg, costato più di 50 milioni di dollari, “Hereafter” è stato accolto con freddezza in Usa e l’incasso americano (lì è uscito prima di Natale) ha superato a stento i 30 milioni di dollari. Praticamente un flop. Vedremo cosa accadrà da noi nel primo finesettimana di programmazione. Il film si apre con la compiaciuta ricostruzione dello tsunami che nel 2004 devastò il Sud Est asiatico provocando la morte di 230mila persone. Ci sono molti effetti speciali anche per l’altra scena spettacolare del film con la quale Eastwood ripropone alcuni momenti dell’attentato terroristico nella metropolitana di Londra del luglio del 2005. Sono i due passaggi cinematografici ad alta adrenalina che potranno consentire a Eastwood di correre per l’Oscar. Il film rappresenta il debutto come sceneggiatore di Peter Morgan, già noto ad Hollywood per essere l’autore delle storie sulle quali sono stati realizzati due “fact-based movies” come “Frost/Nixon” e “The Queen”. Morgan è arrivato alla sceneggiatura di “Hereafter”, dicono a Hollywood, dopo la morte di un caro amico e grazie all’incontro con Clint Eastwood. “Ad Hollywood una volta si facevano film su questi temi – ha scritto Kenneth Turan su The Los Angeles Times – ma nella Hollywood di oggi solo un regista come Eastwood, determinato a non fare mai due volte la stessa cosa, poteva avere il coraggio di realizzarlo. Sebbene il soggetto sia inusuale, la cosa convincente di “Hereafter” è proprio il modo di collocare i temi spirituali esattamente nel contesto di Hollywood”. Per voler troppo lodare il film, il critico di The Los Angeles Times, individua involontariamente proprio il punto debole della pellicola: aver raccontato un aldilà a misura delle major materialiste e laiche di Hollywood. A chi ha già visto “Hereafter” rimane invece da gestire un sentimento di spaseamento. L’unico funerale religioso, in un film dove si parla di morte, viene sbrigativamente risolto da un officiante (un prete?) che poi, in tutta fretta, sgombera il luogo di culto per far posto ad una cerimonia indù. Ma l’interrogativo più grande riguarda proprio il regista. Eastwood, nel 1992, diresse un western molto poco convenzionale, “Unforgiven” (“Gli spietati”, in italiano), un insuperato e potente apologo sul mistero della morte e sul dramma della violenza. “È una cosa grossa uccidere un uomo: gli levi tutto quello che ha... e tutto quello che sperava di avere”, diceva il protagonista di “Unforgiven”. Si tratta di una corda che a diciotto anni di distanza Eastwood con “Hereafter”, pregiudizialmente ateo e inutilmente spettacolare, non riesce più a far vibrare.