di Andrea Piersanti
Sergio Trasatti era stato anche sulla Collina delle Croci in Lituania, durante il suo ultimo viaggio al seguito di Giovanni Paolo II. Un luogo che sembra una metafora della sua vita. Rasa al suolo più di una volta, la collina delle Croci è sempre stata ricostruita. Nonostante i controlli polizieschi del governo comunista che proibiva il culto religioso, i credenti della Lituania hanno riempito la collina di centinaia di migliaia di croci. Ogni volta che erano abbattute o bruciate, le croci ricomparivano subito, da un giorno all'altro. Venivano piantate di notte nel terreno brullo della collina, durante silenziose processioni religiose o dopo una santa messa celebrata sottovoce per non farsi scoprire dalle guardie. È un monumento umile, ma immenso, della forza della Fede.
Sergio Trasatti era così. Discreto ma anche determinato. Come i cocciuti cittadini della Lituania che hanno riempito di croci la loro collina, nonostante i divieti e le persecuzioni, così Trasatti ha riempito di sacrifici e di miracoli della Fede la sua vita di uomo e di professionista della comunicazione. Nonostante le difficoltà. Nonostante le incomprensioni di cui pure fu vittima.
“Alcune persone sono come le miniere – ricorda il Cardinale Angelo Comastri -: hanno spazi insospettabili e racchiudono tesori immensi nel silenzio di un geloso nascondimento. Così era Sergio Trasatti: un uomo esposto e nascosto; un uomo noto a tutti eppure riservato in tanti aspetti della sua poliedrica personalità”.
Sergio Trasatti fu caporedattore dell'Osservatore Romano. Animò e reinventò la pagina degli spettacoli del quotidiano della Santa Sede con recensioni letterarie, teatrali e cinematografiche. Attento da sempre ai fenomeni della comunicazione, aveva capito presto che l'intrattenimento forgia le coscienze più di mille telegiornali. Da maestro del giornalismo si dedicò quindi alla critica e allo studio dello spettacolo e di tutte le forme di intrattenimento. All'inizio degli anni Ottanta, le gerarchie della Conferenza Episcopale Italiana, d'intesa con la Segreteria di Stato dalla quale comunque Trasatti dipendeva, gli chiesero di prendere in mano le redini proprio dell'Ente dello Spettacolo. Si trattava di un'antica e combattiva associazione che negli anni si era distinta per una presenza non banale nel mondo del cinema e dell'intrattenimento. Alla fine degli anni Settanta, però, a seguito di un grave momento di crisi del cinema italiano, l'Ente dello Spettacolo sembrava aver perduto fisionomia. Dal dopoguerra fino agli inizi degli anni Settanta, l'associazione aveva fatto parte della Segreteria Generale della Azione Cattolica. Nei suoi saloni, al numero uno di Via della Conciliazione, erano passati tutti i grandi maestri del cinema italiano e internazionale. Poi, l'organismo era stato trasferito sotto il controllo della neonata assemblea dei vescovi italiani. La sede fu spostata sull'Aurelia, ad un passo dagli uffici della Conferenza Episcopale Italiana e a pochi metri, quasi fosse un destino già scritto, dall'abitazione di Trasatti.
Nel 1982 Trasatti entrò da Presidente neoeletto negli uffici dell'Ente dello Spettacolo. Trovò uno sparuto gruppo di impiegati (da contare sulle dita di una mano) e pochissimi soldi. Il patto con la Cei era chiaro. Trasatti doveva riuscire a trovare una giustificazione all'esistenza di questa associazione. L'alternativa sarebbe stata la fine dell'Ente dello Spettacolo, nato nel 1945. Trasatti sorrise e si rimboccò le maniche.
“Ciò che particolarmente si notava nella sua personalità era l’entusiasmo – spiega il Cardinale Camillo Ruini -. Però non era un entusiasmo fine a se stesso, ma pieno di idee e tenace nel realizzarle. Sotto il suo impulso, l’Ente dello Spettacolo subì notevoli trasformazioni. Diede vita a rassegne, convegni, premi letterari e giornalistici. Promosse anche l’istituzione di un’Agenzia di stampa per l’informazione sullo spettacolo, con scadenza settimanale, e di una relativa Banca Dati permanente, collegate anche con il servizio nazionale di Videotel. Riuscì a valorizzare la “Rivista del Cinematografo”, già esistente, sia facendone sempre meglio un punto di ritrovo per tutti gli autori e critici dello spettacolo, sia portandone la distribuzione anche nelle edicole e incrementandone gli abbonamenti. Non voglio tacere nemmeno l’attività editoriale, con la creazione della collana di libri “Immagini allo specchio”. Come Segretario della Cei, volentieri facevo visita alla sede dell’Ente una o due volte all’anno e sempre ho ricevuto la buona impressione di un’attività che si svolgeva con fervore e sincero disinteresse personale. Sergio Trasatti conosceva bene i mass media, le loro potenzialità, il loro influsso, e guardava lontano, cercando tenacemente di piegarli al servizio della buona causa, dell’educazione e dell’annuncio evangelico”.Trasatti si divideva fra il lavoro all'Osservatore Romano, l'Ente dello Spettacolo e i suoi libri (un cantiere letterario sempre pieno di nuovi progetti). Nel frattempo trovava il tempo anche per collaborare ad alcune pubblicazioni scientifiche, organizzare e partecipare a convegni e, soprattutto, continuare a seguire Papa Giovanni Paolo II in giro per tutto il mondo. Aveva la testa piena di idee. Era innamorato della sua famiglia: la moglie Sisi, insegnante di musica, e la figlia Sabrina, aspirante architetto. Nutriva un'ammirazione incondizionata per il Papa che la sorte gli aveva dato la possibilità di seguire così da vicino.
“Lavorava sodo Trasatti – racconta Gianfranco Grieco dell’Osservatore Romano -. Ricordo un particolare. Nel “pre – viaggio” del Papa nelle Filippine – Guam – Giappone si faceva a turno alla sera, prima di andare a dormire, nell’uso dell’unica macchina da scrivere portata con noi. Quando siamo ritornati a Fiumicino, appena scesi dall’aereo, abbiamo consegnato all’autista che ci era venuto a prelevare, tutti gli articoli già scritti per il Tabloid”.
Furono dedicati proprio al Papa polacco molti dei libri di Trasatti. Anche nel 1981 quando, quasi di getto, scrisse "Viaggio nella sofferenza" sull'attentato compiuto da Ali Agca a Piazza San Pietro, un'opera che fu tradotta in tutto il mondo.
“Abbiamo percorso insieme quasi venti anni, nella buona e nella cattiva sorte – scrisse Mons. Virgilio Levi, che era stato Vicedirettore dell’Osservatore Romano -. Capire Trasatti non era facile. Aveva la pazienza di un asino, ma anche le impuntature di un mulo. E, per chi non aveva letto bene il Vecchio Testamento, le due cose apparivano contraddittorie. Aveva un aspetto bonario, un tratto conciliante, un’arrendevolezza quasi inspiegabile, poi all’improvviso diventava duro, quasi intollerante. Non avevamo ancora capito che aveva dentro di sé un fuoco che non lo abbandonava mai. Sergio aveva lo sguardo lungo. Mi dicono che fu tra i primi a Roma a dotarsi di un telefax. “A che serve?” gli dicevano. E lui: “Aspettate e vedrete”. Dal telefax alla banca dati, fu in tutto un pioniere. Ma l’hard o il soft, di cui come pochi intravedeva il determinante futuro, non erano che i mezzi per lanciare un messaggio, quello cristiano, nella sua genuinità. Si deve assolutamente ritenere straordinario il suo servizio alla Fede nel mondo dei media. Tutti sanno come in questo campo la rassegnazione sia dominante (Che fare? Il mezzo è più forte di noi!). Trasatti non l’ha mai pensata così. Vedeva in questo campo un terreno da evangelizzare senza titubanze. Il suo fuoco interiore gli aveva insegnato anche l’insolita pazienza dei veri realizzatori: saper attendere senza mai demordere”.
Trasatti scrisse molto anche di cinema. A cominciare da Rossellini, che aveva avuto la possibilità di conoscere personalmente. “Non è vero che il neorealismo fu osteggiato dalla cultura cattolica italiana”, ripeteva Trasatti fino a sgolarsi. Sorprendentemente ebbe un significativo riconoscimento anche dal mondo politico più lontano dai suoi ideali. Dopo la sua morte, la sua biografia del grande regista svedese Ingmar Bergman (Castoro cinema) fu distribuita in edicola dal quotidiano "L'Unità".
Il laico Fernaldo Di Giammatteo, direttore della collana del Castoro, rimase impressionato dall’incontro con Trasatti. “Lavorare con lui è stato bello e difficilissimo – spiegò allora Di Giammatteo agli amici -. Il mio ruolo di direttore era stato annullato dalla sua professionalità. Quando mi mandò le prime bozze della biografia di Bergman, io iniziai a leggere con la penna rossa in mano, per tagliare le lungaggini e correggere gli errori. Alla fine della lettura i fogli erano ancora immacolati e la penna era rimasta inutilizzata. La sua era una scrittura pulita ed essenziale, difficile da tagliare (quando i problemi di spazio lo imponevano) perché ti sembrava di deturpare un lavoro praticamente perfetto”.
Il suo ultimo libro, che venne presentato al pubblico dopo la sua morte, fu "La Croce e la stella", pubblicato da Mondadori nel 1993. Trasatti era stato il primo a ricostruire, dall'interno del Vaticano, la storia diplomatica segreta dei rapporti e degli scontri tra i Papi (da Benedetto XV a Giovanni Paolo II) e i capi del Cremlino e i loro vassalli dell'Est. Uno scontro, quello fra Roma e Mosca, che si era concluso con la sconfitta clamorosa dell'ideologia comunista.
Uno scontro che aveva affascinato la coscienza di cattolico di Trasatti. Nel 1989, come regalo di Natale ad amici e conoscenti, spedì un disco con alcune esecuzioni del violoncellista Mstislav Rostropovic. Aveva voluto personalizzare la copertina del disco e aveva fatto impaginare una foto comprata dalle agenzie americane dove si vedeva lo stesso Rostropovic intento a suonare davanti alle rovine del Muro di Berlino. Una foto scattata proprio nel 1989, durante il concerto tenuto dal musicista per celebrare la morte del comunismo. Un'esibizione divenuta leggendaria.
“Quel che mi è più rimasto nella memoria di Sergio Trasatti – racconta Maurizio Costanzo – è la passione con la quale svolgeva il suo lavoro. Non un entusiasmo rivolto e in qualche modo limitato alle cose di maggior prestigio, bensì al giorno dopo giorno, agli interventi o ai solleciti, alle beghe organizzative. In questo era totalmente un operatore nel settore della comunicazione. La sua passione era al servizio di alcuni valori forti ma il suo rispetto per le idee divergenti era assoluto. Ho un cruccio, nel ricordarne la scomparsa: non aver fatto in tempo ad invitarlo ad una puntata del mio programma televisivo per presentare l’ultimo libro che aveva scritto. Mi dispiace: so che gli avrebbe fatto piacere, come lo avrebbe fatto a me. La vita è fatta anche, purtroppo, di appuntamenti mancati”.
Gli amici lo definivano un "vulcano di idee". Trasatti ti chiamava all'improvviso per dirti: "Senti cosa ho pensato". Alla fine ti guardava, con gli occhi che brillavano, e ti domandava: "Bello, no?".
Io l'ho conosciuto nel 1984. Mi mise alla prova. Mi diede una possibilità. Con affetto e anche con severità. Entrai all'Ente dello Spettacolo come aiuto ufficio stampa. Ero un giovanotto ambizioso e ignorante. Avevo solo due vantaggi: l'età e la guida di Trasatti. Adesso, a distanza di tanto tempo, mi è rimasto solo il suo insegnamento che ancora oggi mi aiuta e mi suggerisce le soluzioni più adeguate.
L'avventura di Trasatti all'Ente dello Spettacolo fu entusiasmante. Nel giro di poco tempo l'associazione diede lavoro ad una ventina di persone e ad un numero imprecisato e sempre variabile di collaboratori esterni. Furono anni febbrili e interessanti. L'Ente dello Spettacolo brillava per la sua diversità. Mentre il paese inconsapevolmente stava infilando la testa nel sacco buio di Tangentopoli e in giro si respirava un'aria pesante, negli uffici di Via Palombini il gruppo di lavoro guidato da Trasatti lavorava con un sorriso sulle labbra. Una specie di oasi, nella burrasca generale.
Trasatti inventò quattro manifestazioni che divennero subito oggetto di programmazione televisiva su Raiuno. Erano il "Premio La Navicella" (per i professionisti dello spettacolo distintisi per una particolare attenzione ai valori umani e spirituali), il "Premio Colonna Sonora" (il primo riconoscimento del genere in Italia), il "Premio Diego Fabbri" (ancora oggi l'unico premio per libri di cinema, televisione, teatro e comunicazione) e il "Premio della Critica Radiotelevisiva" (fondato dal critico tv Mino Doletti, che con Trasatti crebbe fino a diventare un momento annuale di riflessione sulla qualità più autentica della programmazione televisiva e radiofonica). Furono manifestazioni che fecero il giro del paese e che raccolsero grandi rassegne di ritagli stampa. Furono anche momenti di relazioni non occasionali con molti protagonisti dello spettacolo e della comunicazione.
Trasatti era membro della stampa parlamentare e in quegli anni, come cattolico, fu un punto di riferimento prezioso per i protagonisti della politica, della cultura e della comunicazione. Un anno dopo la sua morte, un convegno che doveva essere presieduto da Trasatti, fu coordinato da Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato. Un segno di rispetto postumo e una dimostrazione della considerazione e della stima che era riuscito a raccogliere nella sua vita.
Con non poche difficoltà e attirandosi gli strali di alcuni avversari, Trasatti fondò anche una scuola di giornalismo, intitolata ad un grande amico scomparso, Dante Alimenti, il primo vero vaticanista del TG1 della Rai.
“Con la sua scuola di giornalismo – ricorda Vittorio Roidi -, che organizzava e guidava con notevoli sacrifici personali, Sergio ha dato un esempio di dedizione ai ragazzi e, insieme, alla professione. Nella nostra società si fa un gran parlare delle giovani generazioni, ma non sono molti coloro che per esse poi lavorano in concreto e senza nulla chiedere in cambio. Trasatti ci si è dedicato spontaneamente. Ha fatto nascere in tanti ragazzi la passione per il mondo delle notizie e, contemporaneamente, ha messo il dito sulla sua delicatezza: l’esigenza dell’etica, la necessità di avere informatori rigorosi, l’amore per un giornalismo che fosse anzitutto ricerca della verità”.
I suoi ragazzi, i suoi primi alunni, sono oggi ben collocati nel giornalismo italiano e internazionale e, molto probabilmente, non hanno scordato quelle lezioni e il suo attaccamento alla verità della vita. “Ricordo – dice Pier Ferdinando Casini – l’impegno costante e appassionato per la diffusione della cultura e per la difesa dei suoi valori profondi in un momento in cui si voleva far credere che la cultura fosse appannaggio esclusivo dell’intellighenzia di sinistra; seppe farlo senza esibizionismo inutile, ma sempre con grande Fede, con coerenza e sostanza. Trasatti aveva capito meglio di altri che i mezzi di comunicazione, come giornali, radio, televisione e cinema, se usati in maniera corretta, sono strumenti importantissimi per la crescita morale e sociale di un paese. Forte di questa convinzione, ha dedicato grandi energie alla formazione di giornalisti capaci di svolgere il loro lavoro senza condizionamenti e senza preconcetti, in piena libertà. A lui, in momenti di grave crisi occupazionale, molti giovani devono oltre al prezioso insegnamento anche un aiuto concreto e generoso”.
Gli anni passati all'Ente dello Spettacolo furono anche quelli delle clamorose proteste contro gli eccessi della televisione e della comunicazione in genere. Trasatti era come un moderno crociato che partiva lancia in resta contro comici e giornalisti che dimostravano poco rispetto per il pubblico e, soprattutto, per il mistero della Fede.
“Migliaia di interventi critici, di servizi d’attualità e di costume, di note morali: è la testimonianza di una grande ricchezza umana, culturale e civile – dice Sergio Zavoli -. Trasatti sapeva agire da sé e con altri, immergendosi nella sua creatività e suscitando quella altrui; aveva molto vivo il senso del partecipare, dell’associarsi, del condividere. Fu attento al mondo dello spettacolo, in specie televisivo, cui ha lasciato un’impronta non cancellabile, soprattutto di valore etico; senza essere, però, quel che si dice un moralista, né un pedagogo, men che meno un bigotto; era uno spirito laico, nutrito sì dalla Fede, ma anche dalla sua cultura e dal suo temperamento”.
Trasatti amava la vita ed il sorriso. Il suo ottimismo razionale lo portava ad interessarsi del futuro in tutte le sue forme. Era un entusiasta sostenitore del progresso tecnologico. Quando nacque la paytv in Italia, fu in prima fila per difenderla e organizzò addirittura un convegno internazionale per dimostrare la bontà dell'iniziativa. Fu fra i primi ad utilizzare i personal computer e lanciò un'iniziativa spettacolare e, in qualche modo, storica: la prima banca dati elettronica del cinema mondiale. Pochi mesi prima di morire aveva già cominciato a studiare il fenomeno di Internet che in Italia sarebbe arrivato solo due anni più tardi.
Un infarto lo uccise nel tardo pomeriggio del 16 dicembre del 1993. Era stato ad un incontro con gli amati studenti della sua scuola di giornalismo. Era tornato sotto casa per prendere la moglie e andare insieme con lei ad una prima al teatro dell'Opera, la sua grande passione. Dopo aver citofonato, si era seduto di nuovo in macchina. Così lo prese l'infarto, al posto di guida, dove era sempre stato. Si accasciò sul volante e il clacson cominciò ad ululare.
Il suo funerale fu celebrato dal Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, l'Arcivescovo americano John P. Foley. Durante la messa tanti avevano gli occhi umidi, alcuni singhiozzavano apertamente. Rimane nelle orecchie di chi lo ha conosciuto quel clacson che suona, che suona e che sembra non dover smettere mai, nel pomeriggio caotico e distratto di una grande città.
Pubblicato su I quaderni di Desk n.10
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