di Deborah Bergamini
Dove sta andando il mondo dei media? E quali sono i nuovi mezzi di informazione e di intrattenimento che prevarranno nell’imminente futuro tra le generazioni più giovani?
Su questa scommessa si stanno muovendo le multinazionali del settore, dalle società telefoniche a quelle televisive, per non parlare dei colossi di Internet, fino ad arrivare alle aziende legate al mondo della pubblicità. E insieme a loro si muove una massa sconfinata di denaro, tanto ingente quanto incerta nella direzione da prendere. Una cosa però è sicura: le fortune del mondo dei media si giocheranno solo a livello globale, le barriere culturali e geografiche si infrangeranno e l’individuo, nell’approvvigionarsi di informazioni e di intrattenimento attraverso i mezzi digitali, sarà sempre di più un individuo.
Le incertezze nel prevedere l’evoluzione del mondo della comunicazione, e il rischio di incamminarsi in direzioni sbagliate, sono lo scotto che le grandi aziende si trovano a pagare dopo anni in cui gli investimenti nel settore dei media sono stati focalizzati sulle nuove tecnologie, piuttosto che sui contenuti da veicolare. L’enorme velocità dei progressi tecnici ha legittimato una “corsa alle piattaforme” che ha messo in secondo piano l’importanza e il valore delle cose da comunicare. O che forse ne ha coperto la mancanza. Per un po’ si è riusciti ad applicare le vecchie logiche “analogiche” al nascente mondo digitale. Poi, mano a mano che la dimestichezza con i mezzi digitali aumentava e gli utenti scoprivano di avere esigenze del tutto nuove e più personali, si è compreso che quelle esigenze avrebbero dovuto ottenere risposte adeguate. E’ partita così la corsa ai contenuti. Che però continuano a tardare. I vecchi depositari della comunicazione analogica si sono scoperti incapaci di pensare e creare in modo innovativo; i custodi del progresso tecnologico hanno dovuto ammettere che una cosa è sviluppare le nuove piattaforme e un’altra è sperimentare nuove idee e renderle attrattive ad un pubblico sempre più sofisticato ed esigente.
Il risultato è stato che il pubblico stesso si è sostituito ai fornitori di contenuti: è diventato esso stesso un creatore. Sono nati i fenomeni legati al mondo dei blog e subito dopo le grandi esperienze globali dei siti internet alimentati con video e creazioni spericolate da parte degli stessi utenti. Da MySpace a Youtube, il mondo del web è diventato un caleidoscopio fatto di user generated content. Ne hanno beneficiato immediatamente i grandi motori di ricerca come Google, presto trasformati in sacerdoti dell’imperdibile su Internet. Sono loro che determinano i criteri secondo i quali l’enorme massa di navigatori si muove da un sito all’altro. E poiché si tratta di una massa instancabile e imprevedibile, sempre pronta ad assorbire nuove tendenze, il ruolo di questi motori di ricerca diventa davvero paragonabile a quello che un tempo avevano i sacerdoti.
Con il pubblico che svolge dunque il duplice ruolo di creatore e fruitore dei contenuti digitali, lo scenario si è rivoluzionato, e il modo di vivere i vari media anche. Si è determinata una frammentazione fortissima delle fonti a cui approvvigionarsi per le esigenze di informarsi e intrattenersi. Ne è conseguita una frammentazione degli utenti e dei pubblici. La rilevanza culturale assoluta dei grandi gruppi, delle televisioni e radio pubbliche, dei giornali, ha lasciato spazio, forse per sempre, all’universo segmentato dei bloggisti, alle community, alle tribù digitali più o meno numerose, che hanno imparato a selezionare per conto loro i riferimenti di realtà a cui appellarsi e i criteri di analisi e di valore con cui misurarli. Padrone dei contenuti, inevitabilmente, il pubblico, quello più giovane peraltro, sta diventando anche padrone delle proprie autarchiche regole di analisi critica, di comportamento, di estetica. E con esse cerca di colmare il vuoto di idee e di spunti formativi determinato in larga parte dal declino inesorabile dei valori che per decenni hanno tenuto insieme il tessuto sociale.
In questa grandissima agitazione sociale, in questo relativismo, finisce per trionfare il narcisismo più spinto, dal momento che più i valori sociali decadono e vengono messi in discussione in assenza di nuovi e alternativi insegnamenti da cui trarre frutto, e più si afferma il solipsismo: io mi ergo a mio valore assoluto e tutt’al più faccio riferimento alle opinioni dei miei amici o della mia piccola tribù. E’ questo che sta accadendo nel mondo dei media: io mi faccio creatore di un messaggio che voglio sia visto da qualcuno, anche da una sola altra persona, per avere la prova che esisto. In quello scambievole voyeurismo io mi esalto.
E’ la impetuosa anarchia di Internet, e le grandi aziende stanno dedicando una fetta sempre più grande dei loro budget pubblicitari a questa anarchia, perché dove c’è il narcisismo e il bisogno di conferme c’è anche lo spazio per creare le tendenze e le incentivazioni a consumare. Resta in piedi, in tutto questo, l’assenza di valori assoluti che guidino le persone, soprattutto le più giovani, verso un’autorealizzazione autentica ed ordinata.
Presto il sistema legale interverrà a soffocare anche l’anomalia libertaria di Internet. Nell’attesa, è lì che si muovono i grandi attori della finanza e dell’industria in cerca di nuovi introiti E’lì che nascono e muoiono grandi fortune. Ed è lì che transitano disordinatamente e creativamente, senza pace, decine di milioni di individui in cerca di un sollievo esistenziale che non riescono a definire.
Pubblicato su CH di dicembre 2006
martedì 15 maggio 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento